ANSA
Una vera e propria moral suasion di 120 minuti, con risposte molto rotonde per accomodare le asperità di Lega e Forza Italia, che su una manovra che possa penalizzarli dal punto di vista elettorale hanno, per usare un eufemismo, qualche perplessità. Giorgia Meloni fa trovare tartine e un clima accogliente a Palazzo Chigi: gli «amici» e capigruppo del Carroccio e di Fi - Molinari, Romeo, Barelli, Ronzulli -, il leader centrista Maurizio Lupi e Micaela Biancofiore arrivano puntuali alle 18.30. Mentre i presidenti dei gruppi di Fdi, Foti e Malan, più ambientati nelle stanze del governo, partecipano alla riunione con un background già definito, essendo stati “catechizzati” martedì sera alla cena di partito a Palazzo Brancaccio.
Alla fine la “tregua delle bandierine” è siglata ma non senza fatiche, con Salvini e Tajani a garantire per i loro partiti e il ministro Ciriani incaricato di tenere le fila di quello che sarà il complesso iter parlamentare della legge di bilancio. E la nota finale vuole restituire l’immagine di una maggioranza compatta e inscalfibile, che «ha affrontato brillantemente l’ultimo anno nonostante i tentativi di divisione e sabotaggio».
L’indicazione del nemico esterno da cui proteggersi funziona sempre, in questi vertici. E Meloni quando prende la parola calca la mano: «La manovra sarà un passaggio complesso, dovremo esseri seri e determinati ma non dovremo cadere nei tentativi di dividerci. Proveranno a farci cadere in ogni modo».
Il patto siglato ieri non riguarda ancora le cifre e i contorni delle misure, complice anche l’assenza del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che con Meloni tiene la linea del sentiero stretto. Tuttavia, la maggioranza si ritrova «tutta concorde» nel «concentrare le risorse» su un paniere ristretto di priorità: «salari, sanità, famiglie e pensioni, a partire da quelle dei giovani». Proprio quest’ultimo accenno fa intendere un’apertura del governo a una delle istanze avanzate dai sindacati: le pensioni di garanzia per le nuove generazioni che rischiano di non incassare mai l’assegno previdenziale. È anche una giocata politica, da parte della premier: sa che le rappresentanze dei lavoratori vogliono che si aprano altri solchi nella legge Fornero, ma Palazzo Chigi e il Mef sono determinati a confermare quota 103 ed eventualmente a toccare le rivalutazioni degli assegni medi e medio-alti. Insomma, in previsione di uno scontro con i sindacati, la premier vuole affermare che il suo esecutivo guarda alle nuove generazioni.
Ma c’è anche un’indicazione strategia che la premier consegna ai capigruppo: proprio perché la manovra sarà complessa e probabilmente non esaltante per gli elettori, occorre andare avanti su tutte le riforme: la delega fiscale, l’autonomia, la riforma della Giustizia «e la riforma costituzionale che nelle prossime settimane arriverà a definizione», dice la nota. Il premierato come “distrazione” dagli affanni economici.
Meloni non intende però seguire Salvini sulla strada che il capo della Lega sembra aver imboccato per giustificare una manovra “leggera”: attaccare l’Ue e Gentiloni. «In questo periodo ho avuto l’impressione di avere un commissario europeo che giocava con la maglietta di un’altra nazionale. Più che dare suggerimenti, elevava lamenti e critiche», l’affondo del vicepremier. Per Elly Schlein il capo del Carroccio cerca alibi, il dem Boccia gli ricorda che «lui giocava con la maglietta di Putin». Ma è una strada comunicativa che non tocca Palazzo Chigi e il Mef, che per trovare le risorse probabilmente dovranno usare la leva del deficit e quindi aprire un negoziato con Bruxelles che non ha bisogno di tensioni.