martedì 28 maggio 2024
Lo storico Busi: i cattolici non solo condannarono l'attentato di Brescia ma si interrogarono sulle radici della violenza. E rilanciarono la sfida dell'educazione dei giovani a pace e democrazia
Brescia, piazza della Loggia, 28 maggio 1974: i sopravvissuti, straziati e increduli, piangono le vittime della strage

Brescia, piazza della Loggia, 28 maggio 1974: i sopravvissuti, straziati e increduli, piangono le vittime della strage - Ansa

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«La Chiesa bresciana, il laicato, le associazioni e gli intellettuali cattolici ebbero da subito parole nette di condanna della violenza terrorista e chiesero con forza che fosse fatta luce su esecutori, mandanti e complici. Non solo: fin dall’inizio – in dialogo con le altre forze culturali e sociali – promossero percorsi di riconciliazione e di rigenerazione della convivenza civile. E nell’alveo del “carisma educativo” che contraddistingue il cattolicesimo bresciano del ’900, si interrogarono sulle radici della violenza di quegli anni, dove si aveva fallito e da dove ripartire per educare i giovani alla pace, alla democrazia, alla non violenza. Un’attenzione alla dimensione educativa che è preziosa anche per il nostro tempo, che non conosce la violenza politica degli anni ’70 ma vive polarizzazioni e violenza nel linguaggio e nello spazio pubblico». A parlare, in occasione del 50mo anniversario della strage avvenuta il 28 maggio 1974, è Michele Busi, storico, già presidente diocesano di Ac e oggi presidente del Cedoc, il Centro di documentazione sul movimento cattolico bresciano, che con altri firma la premessa al volume “I cattolici bresciani e la strage di piazza della Loggia”.

Il libro, promosso da Cedoc e Fondazione Civiltà Bresciana, documenta come il mondo cattolico si impegnò concretamente sia nell’aiuto alle famiglie delle persone uccise o ferite dalla bomba fascista – con la partecipazione della Chiesa bresciana alla raccolta di fondi del comitato che coordinava istituzioni, sindacati, giornali e associazioni – sia nel dibattito sulla strage, le cause della violenza politica, le vie per vivificare e trasmettere la democrazia. I cattolici e la Chiesa non restarono alla finestra, allora. Così oggi, con una partecipazione alle iniziative per il 50esimo che vede – ad esempio – il vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada celebrare la Messa stamani alle 8 al Cimitero Vantiniano, mentre alle 8.30 in piazza della Loggia, alla deposizione degli omaggi floreali, la “voce narrante” sarà quella di un prete diocesano, don Fabio Corazzina, già coordinatore nazionale di Pax Christi. Alle 10.12 – l’ora in cui scoppiò la bomba, quel 28 maggio del 1974 – l’“orologio astrario” della piazza emetterà otto rintocchi, tanti quanti i morti. E alle 10.15 suoneranno le campane delle parrocchie.

«La Chiesa bresciana condannò subito l’atto violento – ricorda Busi –. Il vescovo Luigi Morstabilini lo fece con una dichiarazione, poi con un messaggio da leggere nelle Messe di domenica 2 giugno. Nelle espressioni del vescovo e in quelle di un manifesto fatto affiggere dagli organismi di curia il giorno dopo la strage, si usarono formule che le comunità cristiane di base contestarono perché non si denunciava esplicitamente la matrice fascista dell’attentato, ma lo si attribuiva allo “spirito” e alla “mano di Caino”». «Di fronte alle due diverse interpretazioni della matrice della strage – morale e politica – si poneva e si pone il problema se il compito della Chiesa fosse allinearsi sulla comune lettura politica o non fosse quello di andare più a fondo e coglierne le cause morali e religiose», si legge in un intervento del teologo Giacomo Canobbio pubblicato sul settimanale diocesano “La voce del popolo”. I cattolici bresciani intrecciarono i due piani della riflessione, «come attestano gli interventi di autori come Mario Cattaneo ed Enzo Giammancheri, pubblicati, con particolare attenzione alla dimensione educativa, su riviste quali “Scuola italiana moderna”, “Pedagogia e vita” e “Humanitas” – riprende Busi –. Non dimentichiamo che fra gli otto caduti, ben cinque erano insegnanti. Don Serafino Corti, responsabile della Pastorale del lavoro, chiese se i cristiani non fossero rimasti troppo tiepidi, disimpegnati, fino a diventare complici delle derive della vita democratica».

Ebbene: «in tempi di grandi lacerazioni, la città reagì unendosi ancora di più e senza ricorrere alla violenza, esito al quale invece puntava la “strategia della tensione. Si aprì una fase nuova che – ad esempio – portò nel 1975 a diventare sindaco Cesare Trebeschi, figlio di Andrea, morto in un lager nazista, laico cattolico non organico ai partiti, persona di riconosciuto spessore etico e che fu, con Lazzati, tra i fondatori di “Città dell’uomo”». La testimonianza dei cattolici di allora, secondo Busi, insegna ai cattolici di oggi «a prendersi a cuore le sorti della democrazia dentro le fatiche del nostro tempo, a contrastare le derive del linguaggio dell’odio e della contrapposizione e a partecipare con la nostra originalità alla sfida educativa».

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