«Hanno voluto dire 'noi ci siamo e lo dimostriamo, siamo ancora noi a comandare', malgrado l’inchiesta 'Mafia Capitale'. Lo hanno fatto con un funerale così appariscente perché per i Casamonica l’apparire è fondamentale assieme alla violenza, per incutere rispetto e timore. Tipico delle organizzazioni mafiose». È l’analisi di un investigatore che ha indagato a lungo negli scorsi anni sul clan Casamonica, di cui conosce bene comportamenti e strategie. Non solo di oggi. In un’intervista di appena due anni fa il colonnello Rosario Castello, allora comandante della compagnia dei carabinieri di Frascati, oggi comandante provinciale di Bari, così li descriveva: «È l’organizzazione più forte a Roma. Unica che vanta forza intimidatrice e padronanza del territorio. Devono dimostrare quello che hanno, che sono capaci di restare impuniti e che possono commettere qualsivoglia forma di reato». Traffico di droga, recupero crediti e usura, e poi riciclaggio in particolare nell’edilizia e nel commercio delle auto di lusso, il settore proprio di Vittorio Casamonica, per il quale il clan è quasi monopolista a Roma grazie ai prezzi supercompetitivi. Affari illegali ma anche, aveva aggiunto il colonnello, «un totale rifiuto della legalità». Così molte delle loro ville sono abusive e perfino gli allacci elettrici. «Loro sono i Casamonica e non devono pagare nessuno». L’importanza dell’apparire. Lo avevamo visto 11 anni fa. Era il 30 giugno 2004 e all’alba era scattata l’operazione 'Esmeralda' della Dia di Roma. Tra i coinvolti anche Vittorio Casamonica. Decine di arresti e sequestro di beni per circa 200 milioni di euro: 40 appartamenti, 15 ville, 200 auto di grossa cilindrata, 4 società di servizi tra le quali una che gestiva un sito internet legato al mondo del calcio e 6 concessionarie di auto. Con gli investigatori avevamo fatto irruzione nella lussuosa e pacchiana villa ai Castelli Romani di Pasquale Di Silvio e Concetta Casamonica. Di fronte alle armi spianate la famiglia reagisce con 'stile'. Tutti, genitori e figli, indossano accappatoi bianchi griffati. Stile hollywoodiano come la villa: piscina, grande prato curatissimo, palme ovunque, gazebo, tv al plasma in ogni stanza, bagni compresi, nel salone argenteria in bella vista e un enorme busto di Marco Aurelio in marmi policromi. Un evidente falso, ma i Casamonica non disdegnano i veri reperti archelogici, come l’antefissa in terracotta del V secolo a.C. rappresentante una figura di donna con collana, proveniente dall’area costiera del Lazio meridionale. I carabinieri la sequestrarono in un’altra villa del clan. Un dono di nozze. Nel 2013 è stata affidata al vescovo di Albano, monsignor Marcello Semeraro, per essere esposta nel Museo diocesano. Sicuramente luogo più degno. Ma sono innumerevoli i reperti archeologici sequestrati al clan, segno del loro potere. Come i conti bancari all’estero. Alla luce del sole. Così l’8 agosto 2003 quasi 530mila euro, provenienti da un conto a Montecarlo intestato a Anna Di Silvio, rientrarono in Italia grazie allo 'Scudo fiscale' per finire su un conto del marito Giuseppe Casamonica, in parte poi investiti e in parte prelevati in contanti. Il tutto senza che nessuna operazione fosse segnalata dalla banca italiana. Come per il funerale, il cognome Casamonica non insospettiva. «Il potere dei soldi – commenta l’investigatore –, chi li possiede ha sempre porte aperte».