martedì 30 giugno 2020
Più di mille i migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo nel Canale di Sicilia a partire dal 25 giugno. Oltre 600 quelli intercettati e riportati in Libia
Migranti soccorsi dalla Ocean Viking, la nave gestita da Sos Mediterranée e Msf

Migranti soccorsi dalla Ocean Viking, la nave gestita da Sos Mediterranée e Msf - Twitter

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Più di mille migranti hanno tentato la traversata del Mediterraneo nel Canale di Sicilia a partire dal 25 giugno. Oltre 600 sono stati intercettati e riportati nei campi di prigionia, mentre la contabilità delle vite perdute è salita a 373 da gennaio. Come ogni multinazionale, anche quella del traffico di esseri umani punta sulla delocalizzazione. Perciò sono aumentate le partenze dalla Tunisia di stranieri prima imprigionati in Libia e poi dirottati dalle milizie i cui emissari sono sempre più presenti in tutto il Maghreb. Milizie che con una mano, attraverso alcune delle “guardie costiere” da loro controllate, catturano i migranti mostrando di stare ai patti con Italia e Ue.

Ma con l’altra si fanno sfuggire mediamente un barcone ogni tre e intanto spostano i disgraziati verso il confine tunisino, mentre viene intensificata la rotta alternativa dall’Algeria verso la Sardegna. Un fronte di oltre 1.200 chilometri di costa, come da Genova a Siracusa, troppo ampio per essere pattugliato miglio dopo mi- glio da navi militari e squadriglie aeree. Ieri 43 migranti (tra cui due donne e 17 minori non accompagnati) sono stati salvati a nord di Zuara da Mare Jonio, la nave umanitaria di Mediterranea. Sea Watch naviga con 118 persone e sta monitorando l’area di ricerca libica. «Erano a bordo di un’imbarcazione in vetroresina piena d’acqua e sovraccarica, a rischio di affondare» spiega Mediterranea Saving Humans, riassumendo l’intervento di ieri. Tutte le persone soccorse, «malgrado disidratazione, insolazioni, spasmi muscolari e, in qualche caso, ustioni da acqua salata e benzina sono attualmente in buone condizioni».

Rigoroso il rispetto dei protocolli anti-Covid: «Il personale – spiegano dalla nave – ha indossato dispositivi di protezione antivirali, antibatteriologici e di biocontenimento mentre i naufraghi sono stati immediatamente sottoposti a triage medico-sanitario». Nell’ultima settimana, denuncia la coalizione italiana, sono stati «almeno tre i casi di respingimento operati dalla cosiddetta guardia costiera libica, di persone in fuga verso l’inferno dei campi di prigionia, delle torture e degli abusi». Restano ancora avvolte nell’ombra le operazioni che la scorsa settimana hanno portato al respingimento di 93 persone tra cui una donna che aveva partorito sul barcone.

La Marina militare italiana ha confermato quanto aveva rivelato Avvenire domenica, e cioè che nel quadrante si trovasse la nave “De Penne”. Nome che inizialmente dalla Difesa non era stato reso pubblico nonostante si tratti della “nave bandiera” dell’operazione “Mare Sicuro”, con cui viene protetta dall’aggressività libica l’attività dei motopesca siciliani. «La Marina Militare italiana ha nel proprio dna, come imperativo morale prima ancora che operativo, la salvaguardia della vita umana e il soccorso di chiunque si trovi in condizioni di pericolo in mare» ha precisato domenica sera il ministero della Difesa. Tuttavia l’ulteriore ricostruzione manca di dettagli fondamentali.

«Nel merito della vicenda – insiste il ministero – va quindi precisato che, alla luce delle distanze relative in gioco al momento della segnalazione e delle caratteristiche delle due unità, non è corretto affermare che la citata nave militare italiana Durand De La Penne sarebbe arrivata prima della unità di soccorso libica, che è per sua natura più veloce e più idonea a questo tipo di soccorso». A prendere per buona questa versione, se ne deduce che l’unità italiana si trovasse ad almeno sette ore di navigazione dal barcone. Quello, infatti, è il tempo trascorso tra l’Sos lanciato dalla centrale dei soccorsi di Roma e l’arrivo sulla scena della motovedetta libica. In altre parole la “Durand De Penne”, che può raggiungere e superare la velocità di 30 miglia orarie, per arrivare dopo i libici si sarebbe dovuta trovare ad almeno 200 miglia di distanza. Il che vorrebbe peraltro dire che in uno specchio di mare così ampio non c’erano neanche altre navi italiane a proteggere i pescatori siciliani.

Purtroppo la Difesa non ha ancora resa pubblica la posizione esatta della nave militare (né delle altre 4 di Mare Sicuro) al momento dell’Sos, dunque ogni ipotesi resta sul tavolo. Da Roma l’avviso a tutti i naviganti perché si portassero sulla posizione del barcone alla deriva è stato lanciato alle 16,39 di venerdì. La motovedetta libica ha raggiunto i naufraghi alle 23, secondo quanto risulta dal radar della Mare Jonio che stava tentando di raggiungere i migranti. «La Marina Militare Italiana – si legge ancora nella nota – non conosce il dettaglio delle tempistiche di arrivo in zona, individuazione del natante, predisposizione per il recupero in sicurezza, trasbordo e transito di rientro ad Al Khums». Anche questa un’ammissione preoccupante, perché vorrebbe dire che le motovedette libiche, prodotte e regalate dall’Italia, sfuggono perfino ai radar militari e possono occultare i propri spostamenti. Intanto cresce la rotta occidentale e già nelle prossime ore si attendono nuovi sbarchi in Sardegna, dove una novantina di persone è arrivata negli ultimi tre giorni dall’Algeria.

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