Hanno gli occhi lucidi i detenuti Ciro, Franco e Giuliano. «Il Papa con noi, che gioia immensa! Davvero valeva la pena fare tanta fatica!». Alla fine del loro pellegrinaggio in cammino sulla Via Francigena del Sud hanno incontrato Papa Francesco, gli hanno parlato. E lui li ha benedetti. Assieme a loro gli altri detenuti che hanno camminato sulle antiche vie che portano a Roma. E anche i volontari della Confraternita di San Jacopo di Compostella che li hanno accompagnati. Noi con loro. Da Montecassino a San Pietro, per quasi 180 chilometri. Sette giorni, pregando, dormendo, mangiando, provando fatica. Tanta allegria e anche qualche momento di tensione. Ma sempre insieme. Comunità in cammino. E con la testa dal primo giorno rivolta all’incontro col Papa. Ora dopo questo momento sul sagrato di San Pietro, quasi non riescono a raccapezzarsi. «Non ci posso credere è un’emozione e una gioia immensa – dice il romano Franco –. Un incontro che mi terrò per tutta la vita». «Non sono riuscito a dirgli niente ero troppo commosso – aggiunge il napoletano Ciro –, piangevo e il Papa mi ha benedetto». Anche Giuliano, romano, ha gli occhi che parlano da soli. «Tutto quello che abbiamo fatto in questi giorni valeva la pena. Anche se per l’emozione sono riuscito a dirgli solo una parte di quello che volevo». Gli ha però chiesto di benedire la croce tatuata sul braccio e Papa Francesco lo ha fatto.Ma c’è un altro detenuto che non riesce a trattenere la commozione. È Vincenzo, anche lui di Napoli. «Da oggi sei libero» gli dice Irma Civitareale, direttrice del carcere di Cassino, nel quale era rinchiuso. Ha, infatti, potuto beneficiare del decreto "svuota carceri". Una bellissima sorpresa. «Che cosa bella, dottoressa ma questo è o’ primo miracolo del pellegrinaggio», reagisce piangendo. Ma poi pensa subito all’amico Ciro col quale ha camminato in questi giorni. «Io sono libero, torno a casa dalla mia famiglia, mentre lui deve ancora stare in carcere. Vada lui a incontrare il Papa, gli cedo il mio posto». Così Ciro va in prima fila mentre Vincenzo, un po’ più indietro, si gode tra le lacrime la sua libertà. Proprio mentre Papa Francesco pronuncia le parole: «Che bello amarci l’un l’altro come fratelli veri».Ma altre parole del Papa si legano perfettamente al pellegrinaggio dei detenuti. «La realtà più buia può cambiare». Lo hanno capito bene Ciro, Franco, Giuliano e Vincenzo, ma anche l’albanese Flameng, il marocchino Omar, e gli altri 15 detenuti che hanno camminato sulla via Francigena e sulla via Amerina. Lo sapevano i tre volontari della Confraternita che ha organizzato proprio per questo il pellegrinaggio: la bolognese Monica D’Atti, il "capo", grande esperta di cammini e di spiritualità, e la coppia di allegria, canto e servizio Alberto Marassi, 66 anni, ferroviere veneziano in pensione, e Folco Gamberucci, 62 anni, capitano di lungo corso in pensione, toscano di San Gimignano. Ma lo hanno scoperto anche Alessandro, Fabiano e Francesco, tre giovani di Cassino che si sono aggregati fin dal primo giorno. Hanno scelto di camminare coi detenuti e ora vivono con loro questo momento di gioia.Abbiamo camminato su assolate strade asfaltate del Frusinate o nei fitti boschi dei Castelli Romani, lungo l’antico tracciato romano della via Latina, pernottando a Aquino, Ceprano, Veroli, Anagni, Artena e Ciampino. Dormendo in spogliatoi, palestre, basi scout, conventi di suore, oratori. Con l’ospitalità di tanti volontari. Pregando di buon mattino davanti a piccole chiese di campagna: «Fidati sempre del Signore, anche quando ti fanno male i piedi». Così i piedi ci hanno portato fino a Roma, incontrando tanta ospitalità, come quella del poliziotto-pellegrino Enzo Cinelli che apre la sua casa, "punto 113" della Francigena del Sud (felice coincidenza...), ai pellegrini che passano, noi compresi. Un’ospitalità che stupisce i detenuti. «Ci accolgono senza domande e senza prevenzione. E questo ci dà fiducia». Ed è proprio quello che ricercano. «Ho sbagliato e pago – ripetono – ma voglio sentirmi utile, non restare sbattuto in cella a fare niente». Per questo hanno accettato la proposta del "cammino", portandola fino in fondo, facendo capire di voler fare sul serio sulla strada del cambiamento. Tanta fatica, in questi giorni, perfino due guadi di torrenti ingrossati dalla pioggia. Ma andando sempre avanti. Ognuno con la sua risposta alla domanda «ma chi te lo fa fare?». «È un sacrificio per mia figlia disabile», confessa Franco. «Voglio cambiare, per mia moglie e i miei figli», dice Vincenzo. «Ce la devo fare, anche con la droga», riflette Giuliano. «Anche se sono musulmano voglio mettermi alla prova e incontrare il Papa», spiega Omar. «È un modo per sdebitarmi per la fede ritrovata», aggiunge Flameng. «Voglio riparare agli errori verso mia moglie», è l’impegno di Ciro.Tanti incontri, tanti momenti di riflessione. L’ultimo lungo l’Appia Antica che all’alba ci porta da Ciampino a Roma. Ci salutano, con una preghiera, le suore della Santa Croce del Sacro Cuore di Gesù che ci hanno ospitato con tanta dolcezza. Sono commosse, spiegano che «ricorderanno per sempre» l’incontro. E allora in cammino, mentre le nostre ombre con gli zaini si allungano sul selciato romano. Ci attende Papa Francesco.