«Certo che vado in Parlamento. È il mio lavoro. Ci vado bisettimanalmente per il question time e rispondo su tutto lo scibile umano, sempre». Matteo Salvini prova a minimizzare ostentando nonchalance. Ma non sarà facile sfuggire alla prova dell’aula, sul caso dei fondi russi per i quali è indagato Gianluca Savoini.
La giornata è stata una vera e propria escalation, come una tenaglia che si stringe sulla Lega. Il Cremlino - al pari di Salvini - prova a minimizzare, sostenendo che la Russia non ha mai dato nessun sostegno finanziario «a partiti o politici italiani», assicura «senza dubbio» il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, con una dichiarazione all’Ansa. Ma proprio mentre in Europa si vanno a decidere i futuri assetti di vertice della Commissione, - con una clamorosa frattura che si registra fra i due alleati di governo - il caso apre un nuovo scontro in tema di politica estera. «Se riportiamo il dibattito in Parlamento, è sempre qualcosa di giusto e buono, perché così si dibatte in sede ufficiale e quella, secondo me, è la strada più giusta»», apre al dibattito in aula - in mattinata - il presidente della Camera Roberto Fico, durante la cerimonia del Ventaglio, con la stampa parlamentare.
Poi però, in serata, il caso esplode in conferenza dei capigruppo. Quando il ministro dei Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro comunica che non c’è agli atti la disponibilità del ministro dell’Interno al confronto d’aula che il Pd chiede a gran voce, il presidente Fico si fa carico della richiesta del maggiore partito di opposizione annunciando una lettera in tal senso della Presidenza e Graziano Delrio sale sulle barricate prendendo la parola in Commissione Affari costituzionali: «Non ci sono le condizioni di proseguire i lavori e fisicamente ve lo impediremo. I lavori non riprenderanno finché non verrà restituita dignità a questo luogo», dice. Al che i deputati Pd raggiungono il banco della presidenza, fra il disappunto del presidente Giuseppe Brescia (M5S) costretto a sospendere la seduta.
Ma al di là del singolo episodio, la frattura fra M5s e Lega si allarga anche sul tema delle inchieste. Lo sgarbo del giorno prima - le 43 parti sociali convocate al Viminale - ritorna di attualità. Luigi Di Maio accusa l’altro vicepremier di aver pensato a questa iniziativa «per sviare da alla questione più grande, di un vice primo ministro che deve andare a riferire in Parlamento sulla questione Russia. Io sono sicuro che ci andrà - quasi lo sfida - e così ci darà anche modo come maggioranza di difenderlo». «Giusto che Salvini spieghi in Parlamento», si schiera anche il ministro Elisabetta Trenta, al centro di uno scontro, con il collega all’Interno, già in materia di sbarchi.
Il caso domani potrebbe arrivare oggi anche al Copasir, dove è in programma l’audizione del direttore dell’Aise, Luciano Carta, e potrebbe venir fuori la richiesta, da parte del Pd, dell’audizione di Salvini e Conte. Ma intanto Nicola Zingaretti ha formalizzato la richiesta allo stesso premier di riferire al Senato in aggiunta a quella rimasta inevasa per il leader leghista alla Camera. «Non è nelle prerogative di un ministro sottrarsi alla volontà del Parlamento».
E, dopo la levata di scudi di Conte per il vertice al Viminale sulla flat tax - alla quale era presente il sottosegretario dimissionario Armando Siri, coinvolto nell’inchiesta sull’eolico - cresce il disappunto del premier anche per la mancata risposta a Nicola Morra, presidente dell’Antimafia, che ha da tempo chiesto a Salvini di riferire sulle inchieste antimafia, una delle quali - quella che chiama in causa proprio Siri - imbarazza la stessa Lega.