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Il “Fisco amico” immaginato da Giorgia Meloni arriva al suo primo check-point, illustrato ieri mattina nel corso della conferenza stampa ospitata nell’Aula dei gruppi parlamentari della Camera. Un’occasione per fare il punto sui decreti attuativi approvati dopo la legge delega, rivendicare i risultati raggiunti (anche in ottica elettorale) e rilanciare gli obiettivi da centrare nel prossimo futuro.
Al “tagliando” pubblico di quella che definisce una «riforma attesa da 50 anni», la premier – accolta dal “padrone di casa”, Lorenzo Fontana – porta con sé anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il suo vice, Maurizio Leo, ai quali delega l’illustrazione degli aspetti più tecnici delle novità introdotte da Palazzo Chigi.
Si parte da una premessa, che riprende una celebre espressione dell’ex ministro dell’Economia del governo Prodi II, Tommaso Padoa Schioppa, deceduto nel 2010: «Non dirò mai che le tasse sono bellissime», ma, aggiunge, «non c’è più spazio per chi vuole fare il furbo» e «chi è onesto ed è in difficoltà merita di essere aiutato». Il leit motiv è lo stesso che ha accompagnato i primi passi della riforma, che guarda allo Stato come a «un buon padre di famiglia» e a «un approccio non predatorio» nei confronti del contribuente. Questo perché «uno Stato giusto e comprensivo non viene più percepito come un avversario – spiega Meloni – di conseguenza non merita di essere raggirato». Inutile, quindi, «opprimere le famiglie con un livello di tassazione ingiusto». Meglio piuttosto «chiedere il giusto e saper utilizzare quelle risorse con buonsenso e lungimiranza».
«Abbiamo voluto una riforma organica, niente spot – prosegue la presidente del Consiglio –. Il grande obiettivo resta la riduzione generalizzata della pressione fiscale, che grava su famiglie e imprese». Nel frattempo «il governo sta allineando l’Italia ai principali standard europei», per «consegnare ai cittadini un fisco più equo e responsabile». Lo stesso si può dire delle sanzioni Ue, «che erano sproporzionate, illogiche e vessatorie», oltre che «abbastanza inutili».
Il capo dell’esecutivo promette che saranno accolti «gli spunti che arriveranno dalla politica» e questo nonostante gli attacchi arrivati dall’opposizione, ai quali, però, Meloni replica con forza: «Ci hanno accusato di tutto e di più: di voler aiutare gli evasori, di voler fare condoni immaginari, e di voler allentare le maglie del fisco. A smentire queste accuse ci sono i numeri. Il 2023 è stato anno record nella lotta all’evasione: sono stati recuperati 24,7 miliardi, 4,5 in più rispetto all’anno precedente». Insomma, le premesse per raggiungere i traguardi prefissati ci sono tutte, senza contare il «vantaggio» offerto da un «orizzonte di legislatura che ci consente di fare le cose per bene e nell’interesse degli italiani».
A rivendicare i tempi di approvazione della riforma è invece Giorgetti, parlando di «un’impresa storica» che però, spiega, potrà «essere valutata solo nel tempo». I primi passi, comunque, «sono andati esattamente nella direzione» sperata, restituendo «potere d’acquisto alle famiglie» e «premiando «le imprese, chi investe e chi lavora». Il titolare del Mef allarga poi lo sguardo anche oltre i confini nazionali e lamenta la non altrettanta decisione da parte dell’Ue nell’affrontare il nodo della global minimum tax (la tassazione unica sulle multinazionali), che purtroppo, commenta giudicando gli incontri avuti nel G7 e nel G20, «temo vada a naufragare nell’impossibilità di concludere il lavoro». Al vice di Giorgetti, Leo, tocca infine replicare alle critiche di nuovi condoni. Partendo dall’assunto che «il magazzino crediti non riscossi dal Fisco ammonta a 1.206 miliardi di euro». Ed è quindi necessaria «un’operazione verità», perché «se non si riesce a riscuotere il dovuto dobbiamo trovare una soluzione». Insomma, «nessun condono», semmai «un cambio di passo» e senza mai «abbassare la guardia». Si tratta solo, di fare «una proposta al contribuente affinché possa allinearsi sulla base degli elementi a disposizione».