Elly Schlein - .
«Coraggio, serve più coraggio in certe decisioni, soprattutto quando è in gioco la tutela dei diritti fondamentali della persona... ». Lo ripete più volte Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia Romagna e già europarlamentare: «Più coraggio da parte delle istituzioni europee nel varare una vera riforma dell’asilo che mandi in soffitta il vetusto e ormai ipocrita regolamento di Dublino – dice ad Avvenire –, ma anche più coraggio da parte del governo Conte nel dare un forte segnale di discontinuità col precedente esecutivo gialloverde, varando finalmente le tanto annunciate modifiche ai discutibili “decreti sicurezza” salviniani ». L’ardimento, nella vita come in politica, alla trentacinquenne italo–statunitense non manca: il progetto a cui ha dato vita, “L’Emilia Romagna coraggiosa”, ha affrontato con liste locali le amministrative di domenica, incassando risultati lusinghieri, come a Faenza col 7%. E ancor prima Schlein, giurista di formazione, aveva partecipato attivamente ai negoziati della scorsa legislatura europea, che portarono alla riforma delle regole di Dublino approvata dal Parlamento Europeo ma poi affossata dal Consiglio dei 27. Proprio per questo, argomenta, la sua «delusione» di fronte al nuovo Piano proposto dalla Commissione Von der Leyen è «forte».
Diversi analisti parlano di un “passo del gambero” della Commissione: dal ricollocamento obbligatorio ipotizzato 4 anni fa, ora si suggerisce quello volontario. Come lo giudica?
Mi sembra un duplice passo indietro: sia rispetto al pacchetto approvato nel 2017 dal Parlamento Europeo con un’ampissima maggioranza, che conteneva un meccanismo obbligatorio di ricollocamento e valorizzava i legami significativi (parentele, permanenze precedenti, legami) del richiedente asilo; sia rispetto alla stessa proposta del 2016 della Commissione, all’epoca guidata da Juncker, che disponeva un obbligo di ricollocamento.
Insomma, il concetto di “solidarietà flessibile” non la convince?
Per nulla. A parole si dichiara di voler abolire le regole di Dublino, ma nei fatti si presenta una soluzione che non scioglie il vero nodo, ossia l’obbligo – per gli Stati membri dell’Unione – di condividere insieme la responsabilità di esaminare le richieste, senza lasciarla solo ai Paesi frontalieri e di cosiddetto “primo ingresso”.
Il cosiddetto burden sharing...
Già. Invece questo Piano non supera le ipocrisie create dall’aver legato la richiesta d’asilo al Paese di primo ingresso. In più, la storia degli ultimi anni ha mostrato il fallimento di ogni ipotesi di solidarietà volontaria. I Trattati richiedono una condivisione equa delle responsabilità basata sul principio di solidarietà. Mentre la “solidarietà flessibile” – prevedendo, in alternativa al ricollocamento, la possibilità di “sponsorizzare” i rimpatri o di fornire altro supporto – offre una scappatoia agevole ai Paesi del “blocco di Visegrad”, che invocano solidarietà quando necessitano di fondi strutturali, mai poi scordano di essere soggetti agli obblighi comunitari.
Peraltro, secondo il ministro dell’Interno Lamorgese, la fattibilità giuridica dei rimpatri sponsorizzati è tutta da verificare.
Al governo spetta la responsabiltà di una trattativa serrata in sede di Consiglio Europeo.
Ma Austria, Ungheria e altri Stati hanno subito alzato un muro.
Per farcela, il governo italiano dovrà tessere un’alleanza ampia fra gli Stati favorevoli ai ricollocamenti obbligatori. E non mi riferisco solo a Spagna, Grecia e altri, ma soprattutto a Francia e Germania, che possono spostare gli equilibri, portando il Consiglio a votare una riforma post–Dublino che vada nel senso di quella approvata tre anni fa dal Parlamento Europeo. Non serve l’unanimità, basta la maggioranza qualificata.
Nel frattempo, in casa nostra si attendono ancora le modifiche dei decreti sicurezza salviniani.
Spero che il nuovo decreto vada subito in Cdm. Quelle scellerate norme, come ha evidenziato la stessa Corte costituzionale, di “sicurezza” avevano solo il nome: hanno contribuito a smantellare la protezione umanitaria, smontato un sistema di accoglienza diffusa, come quello dello Sprar, che permette una vera inclusione, e allungato i tempi di richiesta della cittadinanza.
A proposito di cittadinanza, cosa pensa della sconcertante vicenda Suarez?
Tocca ai magistrati accertarne i contorni penali. Certo, sembra che bravi calciatore possano ottenere la cittadinanza più facilmente di migliaia di ragazzi nati in Italia e che parlano l’italiano e perfino i dialetti. Ciò deve farci riflettere sulla necessità di rivedere quelle norme scritte nel 1992.
I tempi sono finalmente maturi per una legge sullo ius culturae?
Sì, siamo già in ritardo.