martedì 28 dicembre 2010
Sedici persone sono state fermate dalle guardie di frontiera del Cairo mentre cercavano di entrare in Israele. Secondo alcune fonti potrebbe trattarsi di 14 sudanesi e di due eritrei ma manca ancora qualsiasi contatto con gli africani liberati prima di Natale dai predoni che controllano il deserto del Sinai.
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Confermata la liberazione del gruppo di 20 ostaggi eritrei rilasciati prima di Natale dai rapitori, i beduini del Sinai. Di loro, però, mancano ancora notizie certe: l’unica cosa assodata è che non son o più nelle mani dei rapitori. Ma su dove siano finiti è ancora mistero. E ora si apre un altro preoccupante scenario. Sedici persone, infatti, sono state fermate dalle guardie di frontiera egiziane. Si tratta, secondo le autorità del Cairo di 16 africani che stavano tendando di entrare in Israele. Di più le forze di sicurezza cairote non dicono. Si tratta del terzo episodio del genere in un mese, mentre il governo continua a negare l’esistenza del traffico di esseri umani e la presenza degli ostaggi nell’area. Secondo l’agenzia Associated press 14 di loro sarebbero sudanesi e solo due, un uomo e una donna, sarebbero, invece di nazionalità eritrea. Il gruppo sarebbe stato portato al confine dai beduini in cambio di denaro. La certezza però manca ancora e ciò, unito al fatto che dei 20 eritrei è stata, per ora, persa ogni traccia, non consente di escludere che per questi sfortunati profughi sia sia aperta una nuova cella: dopo quelle dei beduini quelle delle carceri egiziane. Dalle prigioni nel deserto, intanto, ieri nessuna telefonata. Il giorno di Santo Stefano alcune donne rapite hanno contattato il sacerdote eritreo Mosè Zerai. Secondo la testimonianza il pagamento dei riscatti, tuttora in corso, ha placato la violenza dei trafficanti.In Israele intanto la questione dei rifugiati giunti dal Sinai sta diventando un caso politico. Mentre i principali quotidiani riprendono il rapporto dell’ong di medici Phr, Nobel per la pace 1997, sulle torture subite dalle persone rapite nel deserto, un migliaio di immigrati africani ha manifestato per le strade di Tel Aviv il 24 dicembre scorso contro la recente decisione del governo di Benjamin Netanyahu di istituire centri di detenzione per immigrati giunti Israele attraverso la frontiera con l’Egitto.  Sulla questione degli ostaggi è intervenuto in questi giorni anche il gruppo umanitario Everyone che, ricordando le minacce fatte dai mercanti di uomini ai detenuti, ha puntato il dito contro l’Egitto. «Per coloro che non sono in grado di pagare il riscatto – si legge in una nota – si profila una fine orrenda. L’Egitto, nonostante l’impegno delle istituzioni per combattere l’odioso fenomeno, è tuttora il terzo Paese al mondo per traffico di reni umani, con un giro d’affari da capogiro, la copertura della mafia locale e agganci con la criminalità organizzata di altri Paesi. Al Cairo e in altre città esistono da anni cliniche clandestine attrezzate per rifornire questo mercato. Le donne possono finire nel racket della prostituzione, un giro criminoso in cui diventeranno schiave e da cui non esiste via di fuga. Per  bambini e giovanissimi si prospetta la possibilità di cadere nel mercato della pedofilia o del lavoro nero». Fin dagli inizi della vicenda Everyone ha affermato che il traffico di esseri umani è gestito dai clan beduini del deserto egiziano con la complicità di Hamas. Anche don Zerai ha ribadito l’appello alla liberazione di tutti gli ostaggi nelle mani dei trafficanti:«Non ci stanchiamo di fare appello a tutti, istituzioni, organizzazioni umanitarie, persone di buona volontà a chiedere con forza che Egitto, Israele e l’Autorità Palestinese facciano fronte comune per combattere questo odioso traffico. Chiediamo all’Unione Europea di assumersi le proprie responsabilità».
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