sabato 11 gennaio 2014
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La legalizzazione della cannabis: un modo come l’altro per “raschiare il fondo”. Osservo attonito l’ennesima discussione sul tema della legalizzazione della cannabis. Istintivamente sarei tentato di sottrarmi al discorso, disturbato dalla necessità di porre l’accento, proprio in questo momento, su una questione di rilievo minimo rispetto alle priorità del tempo che stiamo vivendo. Perché ancora questa storia? Perché adesso? Adesso che, più che in passato, le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato i danni dei cannabinoidi sul sistema nervoso, specie quando assunti prima dei vent’ anni, nell’età del maggiore sviluppo cerebrale. Adesso che la questione sulla legalizzazione ha smarrito anche quel substrato ideologico a cui si riferiva in passato per divenire un mero tema commerciale. È forse un modo in più per fare cassa per un paese in affanno? O una strategia per ricercare consenso facile da parte di una classe politica dall’immagine a dir poco appannata? Perché parliamo ancora di questioni non essenziali? Non sarebbe più utile, più opportuno, un impegno concreto e programmatico sull’emergenza lavorativa o smettere finalmente di rincorrere le droghe e le dipendenze per investire chiaramente sull’educazione, sulla prevenzione, sul sistema scolastico, sul sostegno alle famiglie, sul recupero delle dipendenze? Non è la canna libera, o meglio controllata, che può salvarci oggi, ma la ricostruzione lenta e faticosa di un sistema autentico di valori che abbiamo smarrito … O forse, anziché far rinascere un moto di sano conflitto, preferiamo mantenere calme le acque di questa palude, anestetizzare le menti, tranquillizzare per tranquillizzarci, magari fumandoci su? Non voglio arrendermi alla rassegnazione, al pensiero che l’unico modo per risolvere un problema è smettere di chiamarlo problema normalizzandolo, all’idea che solo il fatto che una pratica sia diffusa la renda dapprima normale e poi legale. Se questo vale per il fumo di cannabis perché non dovrebbe valere anche per l’evasione fiscale e la corruzione? Questo tema mi disorienta al punto tale che, spesso, è nel confronto con gli ospiti della comunità che trovo risposte che mi convincono. Oggi, a tavola, mi hanno rassicurato sul fatto che se la produzione e la distribuzione della marijuana diventasse legale non si correrebbe nemmeno il solo rischio di cambiare padrone ( dalla mafia allo Stato) ma si creerebbero due mercati paralleli come già succede per parecchi prodotti. Il ravvivarsi del dibattito sembra partire dal numero di carcerati legati a reati connessi con la droga; anche se ancora non mi è chiaro quanto l’uso di cannabinoidi incida su queste carcerazioni, ho sempre pensato che il carcere sia la struttura non idonea per questi reati e per tanti altri. E’ mia convinzione che tutte le possibilità che si possono mettere in campo per attivare percorsi di prevenzione, di riscatto e di recupero anche dal carcere, troveranno il mio appoggio e quello dei centri della federazione. Nell’ampio dibattito che il tema ha sollevato poche volte ho sentito pronunciare la parola “educazione”, quando invece il compito della società, confermato dalla Carta Costituzionale, è quello di attenersi al ruolo educativo e formativo che le è proprio. Capisco l’imbarazzo della politica e dei politici nel doversi confrontare con un tema così complicato, ma la mia posizione rimane quella di mettere al centro la persona, sempre! I nostri sforzi, le nostre intelligenze e le nostre competenze hanno bisogno di trovare un alleato importante nello stato e nelle istituzioni così da permettere il diritto alla cura anche per chi, utilizzando marijuana, ne rimanga in qualche modo compromesso. Ma la sfida più importante resta quella educativa!
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