giovedì 19 settembre 2019
La decisione del Tribunale del riesame di Napoli arriva dopo che, il 30 maggio, Antonio e Nicola Diana avevano già riottenuto la libertà personale
I fratelli Antonio e Nicola Diana erano stati arrestati e accusati di essere collusi col clan dei "casalesi"

I fratelli Antonio e Nicola Diana erano stati arrestati e accusati di essere collusi col clan dei "casalesi"

COMMENTA E CONDIVIDI

Prima Antonio e Nicola Diana hanno riottenuto la libertà personale, ora anche le loro aziende. Il Tribunale del riesame di Napoli ha, infatti, dissequestrato gli impianti che trattano rifiuti dei fratelli simbolo della lotta alla camorra e di un’economia pulita e efficiente. Il 15 gennaio erano stati arrestati con l’accusa di essere collusi col boss del clan dei “casalesi”, Michele Zagaria. E le aziende sequestrate. Accusa sorprendente e infamante per i figli di Mario Diana, vittima innocente della camorra, ucciso nel 1985 proprio per aver detto no al clan. Loro ad appena 18 anni avevano preso in mano l’attività del padre, facendola crescere sulla strada della legalità e della buona economia. Riciclaggio della plastica e poi trattamento dei rifiuti multimateriale. Impianti modernissimi, i migliori del centrosud, tra i primi in Italia. Tanti posti di lavoro, più di 150 dipendenti, soprattutto giovani e qualificati, in una terra che vede invece tanta emigrazione o lavoro nero e dequalificato. E in un settore, quello dei rifiuti, che in Campania, e non solo, è fortemente inquinato dagli interessi criminali o in mano a imprenditori irregolari e senza scrupoli. Sui fratelli Diana neanche uno scandalo, neanche un sospetto. E poi la Fondazione, intitolata al papà, che si occupa di emarginati, educazione, e di sostegno a nuove attività imprenditoriali per i giovani.

Otto mesi fa il colpo degli arresti. Ma il 30 maggio la Cassazione aveva accolto il loro ricorso annullando «senza rinvio» l’ordinanza di custodia cautelare. Il 5 giugno un collegio diverso della sesta sezione della Corte ha annullato, ma questa volta con rinvio, anche il sequestro. «Vuoti motivazionali» e «difetti motivazionali», scrivono i giudici, invitando il Tribunale del riesame a motivare meglio la decisione con la quale aveva respinto il ricorso dei Diana, confermando il sequestro. Il 4 settembre sono state depositate le motivazioni. Chiarissime. Al punto che appena 12 giorni dopo il Tribunale ha dissequestrato le aziende, accogliendo in pieno questa volta la tesi della difesa.

Dunque ben due collegi diversi della Cassazione affermano che in base agli elementi di prova raccolti dall’accusa della Dda di Napoli il reato non sussiste. E le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non trovano riscontri. Nessun accertamento sulle aziende, sui conti correnti bancari societari e personali, nessuna irregolarità fiscale, niente fondi neri e occulti destinati al pagamento di tangenti o finanziamenti alla camorra, nessun approfondimento su clienti, fornitori, contratti stipulati e dipendenti assunti, per accertare qualche ingerenza del clan. Solo le accuse dei “pentiti”. Oltretutto alcuni di loro avevano citato fatti e circostanze di cui asserivano essere stati testimoni per periodi nei quali invece risultavano in carcere. E anche dalle intercettazioni per più di un anno su utenze e auto degli imprenditori non è emerso nulla.

Così per i supremi giudici i Diana sono vittime del clan e non collusi. E il Riesame si adegua. Ora comunque va avanti il processo nei loro confronti (hanno chiesto il giudizio immediato per potersi subito difendere), ma già pagano delle gravi conseguenze. Infatti le aziende, mancando l’anima ispiratrice e il motore che le fa girare, e con lo stigma di “aziende camorriste”, sono in difficoltà con danni economici enormi, anche perché alcuni grossi clienti cautelativamente hanno preferito farsi indietro. E questo malgrado il forte e convinto impegno di tutti i dipendenti, che anzi, hanno lavorato con maggior dedizione. La stessa Fondazione non avendo ossigeno finanziario ha dovuto sospendere le attività o ridurle al minimo. Un grave danno per un territorio in grave difficoltà economica.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: