giovedì 6 giugno 2019
Molti gli interrogativi sugli ultimi giorni della giovane, che si era già vista rifiutare la domanda di eutanasia
Determinata a farla finita. Così è morta Noa
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La verità sulla tragica fine di Noa Pothoven, la 17enne olandese di Arnhem che domenica ha posto fine alla sua esistenza nel letto di casa, si conoscerà forse soltanto dopo l’ispezione disposta dalle autorità sanitarie per verificare se è necessario aprire un’indagine giudiziaria, come informava ieri un comunicato del Ministero della Salute olandese.

Ma della giovane occorre conoscere tutta la storia, che Avvenire raccontò già in dicembre dando conto del suo calvario segnato da uno stupro quando aveva 14 anni, da depressione e anoressia, da ricoveri coatti in manicomio. La ragazza aveva chiesto a un Clinica per la fine della vita di aiutarla a morire con l’eutanasia, ottenendo un rifiuto: le risposero che era troppo giovane (aveva 16 anni) consigliandole un nuovo percorso psicologico. I genitori Lisette e Frans avevano incoraggiato la figlia a scrivere un libro sulla sua esperienza: ne uscì «Vivere o imparare», premiato, i cui proventi sono andati a sostengo dei coetanei in difficoltà psico-fisiche, a istituti psichiatrici e assistenti sociali. «La speranza – scrisse Noa – è l’ultima a morire». Ma allora cos’è accaduto?

Nei Paesi Bassi la legge prevede che se un paziente chiede l’eutanasia (a 17 anni può ottenerla anche senza il consenso dei genitori) e le persone a cui si rivolge non l’aiutano subito può andare avanti nella ricerca sino a trovare un medico che accolga la sua richiesta. Questi deve stendere una relazione da passare a un secondo medico indipendente che approfondirà il caso con un collega, preferibilmente psichiatra. Dopo di che, valutati il dossier, «la ferma volontà di morire più volte espressa nel pieno possesso delle facoltà mentali» e il «reale stato di sofferenza insopportabile e inguaribile », verrà tolta la vita al paziente o sarà assistito nell’atto suicidale. Al decesso il medico curante dovrà autodenunciarsi. In seguito sarà una commissione ufficiale di controllo (Rte) a vagliare se sono state rispettate tutte le regole. In caso negativo il medico subirà un processo.

Per Noa l’unica notizia confermata è che voleva ancora porre fine alla sua vita, tanto che da dieci giorni aveva cessato di mangiare e bere. Attendeva la morte a casa sua, circondata dai familiari e sotto controllo medico. Le altre sono solo illazioni. Dubbi sono sorti per le sue parole nell’ultimo post su Instagram, che hanno fatto pensare a una scelta eutanasica o di suicidio assistito: «Dopo molti colloqui e valutazioni – ha postato Noa – si è deciso che sarò liberata dal mio soffrire insopportabile. È finita». Di certo questa ragazza poteva essere salvata: ma, come ha detto anche uno dei suoi psichiatri, «in Olanda si risparmia sulla sanità, non ci sono istituti ed enti sufficienti per aiutare chi vive tragedie come quella di Noa, le liste d’attesa sono lunghe. Ecco perché Noa non ce l’ha fatta».

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