La fila dei camion dell'Esercito che trasporta le bare delle vittime di Covid a Bergamo, nel marzo del 2020 - Ansa
Difficile, dimenticarlo, quel marzo del 2020: chiusi in casa, senza sapere quando sarebbe finita, senza sapere come sarebbe finita. Ci sono memorie che fanno male, e quella del Covid lo è senz'altro. In particolare per i familiari delle vittime, a cui è dedicata la Giornata di oggi: il 18 marzo di quattro anni fa i mezzi pesanti dell'Esercito Italiano viaggiavano in fila, a Bergamo, impegnati nella rimozione di centinaia di bare depositate presso il cimitero monumentale della città. Quella colonna di mezzi scosse il mondo e l'Italia, facendo sì che tutti si rendessero conto di cosa stesse davvero succedendo, ed è diventata il simbolo di uno dei periodi più bui per il nostro Paese. Da allora i morti per le conseguenze del virus sono stati 196.420 (il dato è aggiornato ad oggi). Ma da allora le cose sono anche molto cambiate, tanto che del Covid - per cui esistono vaccini e cure - oggi non parla e non si ricorda quasi più nessuno.
L'occasione, come naturale, è foriera di appuntamenti e riflessioni istituzionali, oltre che di cordoglio a chi ha perso familiari e amici durante la pandemia. La più importante è quella del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «La Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus richiama l'attenzione della nostra comunità sulla terribile prova affrontata in occasione della pandemia e costituisce occasione di vicinanza ai familiari dei tanti deceduti a causa della pervasiva diffusione del Covid-19 - la sua dichiarazione -. La crisi è suonata terribile esperienza delle sfide di fronte alle quali può trovarsi l'umanità e di come solo una risposta coordinata a livello globale sia stata in grado di farvi fronte, con l'accelerazione nella messa in opera delle più recenti scoperte della ricerca in cui protagonista è stata l'Unione europea». Ed ecco quindi la necessità, secondo il capo dello Stato, di ricordare «come lo sforzo sinergico e solidale delle istituzioni ad ogni livello, del personale sanitario, dei volontari e società civile, abbia consentito di arginare un nemico intangibile all'insegna di una rinascita globale». «Il dolore per le tantissime vite perse è una ferita ancora aperta» le parole della premier Giorgia Meloni. La crisi pandemica «ha prodotto enormi conseguenze economiche, sociali e sanitarie e il cammino per uscirne è ancora, per diversi aspetti, lungo», in cui il pensiero vola «ad esempio, all'impatto devastante sui nostri bambini e sui nostri adolescenti. Servirà molto tempo e un complesso insieme di interventi per restituire alle nostre giovani generazioni ciò che la pandemia, e le regole sanitarie imposte all'epoca, hanno tolto loro».
Il dolore dei medici: «Siamo ancora in lutto»
«Noi vogliamo ricordare il nostro Roberto Stella, primo medico a perdere la vita per il virus, e tutti i 383 colleghi i cui nomi sono scritti nel nostro Memoriale, oltre che tutti i cittadini, oltre 196mila, scomparsi» sottolinea il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli infermieri Filippo Anelli. Per cui la Giornata dovrebbe servire anche «a celebrare il nostro Servizio sanitario nazionale, i suoi operatori, che hanno permesso la guarigione di più di 26 milioni di persone. Da quattro anni, dall'11 marzo del 2020, quando morì Roberto, il nostro portale è listato a lutto - continua Anelli - e oggi anche le bandiere della nostra sede sono abbassate a mezz'asta. Ora l'emergenza è finita, grazie all'impegno di tutti, dei medici, degli operatori sanitari, delle istituzioni, dei cittadini, grazie a strumenti come i vaccini e i farmaci. Il modo migliore di onorare coloro che non ci sono più è fare tesoro delle lezioni apprese, e non farci trovare mai più impreparati a fronte di una eventuale nuova emergenza».