Mi piace. Le luci, il casino, la musica a palla, tanti. Sto bene. Poi fra poco arriva Sfera e intanto è vita, risate, bevo un po’ più del solito, magari conosco pure qualche tipa. Aspetto da settimane, stasera, sarà strepitosa. Sono entrato da un po’, sono arrivato vicino al palco, ballo. Con due amici. Mi piacciono anche i laser sparati che affettano a colori l’aria, mi piacciono le casse che pulsano di bassi, mi piace il fumo, il suo odore dolciastro che da solo fa venire in mente la discoteca o un concerto, mi piace vederlo uscire dai cannoni e disegnare un altro mondo. Mi piace ballare, è quasi l’una.
Uno di noi volta la testa. «Ragazzi si è quasi svuotato, che sta succedendo?!», dice più sorpreso che impaurito. Non capiamo, tutti stanno uscendo di corsa, non si fermano, non si girano, davvero, cosa succede? Pochi istanti, pochissimi. Lo sentiamo, un bruciore fortissimo agli occhi, alla gola, tossiamo, gli occhi grondano lacrime e non smettono, adesso sì, adesso è paura.
«Via via! Via!», urliamo, corriamo anche noi verso l’unica uscita aperta, quella dietro, dove si va a fumare, ci sentiamo spingere, tutti corrono, gli occhi piangono e la gola è in fiamme, ma non ci interessa capire, solo andarcene da qui dentro.
Siamo fuori, grazie a Dio è finita, no, no, siamo troppi, fermi, non andiamo avanti, né indietro, siamo su una specie di ponticello, basso, un metro d’altezza, schiacciati uno all’altro e addosso una balaustra, manca l’aria, freddo, ondeggiamo, la testa gira, se svengo o cado è finita, non so come tirarmi fuori, mi guardo intorno, gli altri stanno come me, ci fermiamo, nessuno ci dice cosa fare, ondeggiamo di nuovo, altri e altri arrivano, siamo un mucchio, siamo troppi, ho paura di cadere e finire sotto la gente, no, ora abbiamo smesso di ondeggiare, sono in piedi, devo restarci. La balaustra non regge, va giù in due o tre secondi, noi con lei. Non c’è più luce, sto sotto, oddio ora è buio.
Sono svenuto, non so per quanto tempo, non lo so. Non vedo niente, sento un gran peso, sono sotto le persone, non posso muovermi, niente. Respiro male, anche gli altri non respirano, non capisco, non so se mi trovo nella realtà o da un’altra parte, sento qualcuno che prega col poco fiato che gli è rimasto, sento le urla, prima piano, poi sempre più forti, no, non mi muovo, non posso fare niente, solo provare a non smettere di respirare.
Mi rendo conto che alcuni, quelli che non sono crollati giù, cercano di spaccare le barre di ferro che ci tengono ammassati e schiacciati, lo fanno per liberarci, però non riescono, sento che sopra cominciano a portar via le persone e dopo un po’ arrivano a me, mi afferrano per le braccia, mi tirano, con forza, sono uscito dal mucchio. Una mia amica cerca di parlarmi, calmarmi, mi chiede come sto, zoppico, piango e non è più per il bruciore agli occhi, sento urla disumane, vedo corpi a terra, sangue, poi mascherine, teli bianchi, scarpe, barelle, ambulanze. Vedo lacrime, tante, non si fermano.
Aspetto da settimane questa sera, sarà strepitosa. Vedo la morte.
Quei resoconti ufficiali non svelano la realtà che molti conoscono bene e da molto tempo. Sanno, per esempio, che fuori la discoteca, nel parcheggio, a volte c’è chi vende vodka fredda dentro casse col ghiaccio, in bottiglia, ma anche in “shottini”, cioè bicchierini che chi è figo manda giù d’un fiato. Sanno che a volte le navette da e per la discoteca viaggiano con le porte aperte perché sono così tanti i ragazzi che l’autista non può chiuderle.
Sanno che la domenica mattina arrivano esposti ai carabinieri e che la notte precedente nei pronto soccorso c’è una mezza processione di ragazzini strafatti d’alcol e non soltanto (tant’è che un’ambulanza stazione accanto al locale). Sanno che più di qualcuno fuma senza problemi anche all’interno della discoteca e sulla pista. Sanno che intorno alla “Lanterna azzurra” esiste un certo giro di droghe e che, dentro, alcolici e superalcolici vengono venduti anche ai minorenni (del resto la maggior parte per qualsiasi locale da ballo del guadagno non è tanto con gli ingressi, quanto con le consumazioni). Sanno, infine, che c’è un’abitudine a far entrare troppi ragazzi: «Una mia amica qualche mese fa è svenuta, ma in pista eravamo così pigiati gli uni agli altri che è rimasta in piedi», racconta Adele (nome di fasntasia, ndr), sedici anni.
Dirà il sindaco di Senigallia, Maurizio Mangialardi, ventiquattro giorni dopo, il 2 gennaio, che «dobbiamo mettere in discussione le regole imperanti che in nome di un facile guadagno autorizzano ad infischiarsi delle norme di sicurezza». Soprattutto avviserà: «Dobbiamo mettere in discussione il peso di un’omertà che riguarda anche tutti noi che da tanto sentivamo dire che in certi locali entrano tante, troppe persone e che così non si poteva più andare avanti, ma che abbiamo preferito mettere la testa sotto la sabbia». Così è il momento di «interrogarci sui danni che rischia di produrre quel nostro eterno confidare sulla buona sorte piuttosto che sulla programmazione di una seria opera di prevenzione».