Parole chiare. Papa Francesco - Reuters
Quando domenica sera i giornalisti hanno chiesto a Mario Draghi se nel Papa avesse trovato un alleato del G20, il premier italiano ha risposto senza esitazioni. «Non solo del G20, ma per tutto ciò che concerne il clima e la conservazione della Terra». Parole che si aggiungono alle espressioni del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che dopo l’udienza di venerdì scorso lo aveva definito «il più grande combattente per la pace che io conosca» e la «stella polare del mondo».
Sì, anche se papa Bergoglio non era fisicamente presente all’incontro dei 20 grandi, la sua statura morale e i suoi ripetuti appelli alla conversione ecologica si sono fatti sentire eccome nei lavori. E c’è da scommettere che lo stesso avverrà per la Cop26 di Glasgow, dove in un un primo momento l’ipotesi di un intervento diretto del Pontefice era stata ventilata. Tra i due eventi, del resto, c’è una continuità non solo temporale. E non c’è dubbio che il magistero di Francesco, a partire dalla Laudato si’, rappresenti a livello mondiale un punto di riferimento imprescindibile.
Il summit di Roma ha passato il testimone al vertice di Glagow e si rafforza la leadership morale del Pontefice, che chiede di ascoltare il grido della terra e dei poveri. Parolin: il multilateralismo è centrale
Lo stesso Pontefice, del resto, lo scorso 22 ottobre, ribadito nel corso di un’intervista a Télam, l’agenzia stampa di Stato dell’Argentina: «Il vertice del G20 a Roma deve seriamente prendere in considerazione il rapporto tra Paesi non sviluppati e sviluppati» e riconoscere le asimmetrie nel mondo, ad esempio nell’accesso alle cure sanitarie. Di qui il suo auspicio che l’incontro potesse «abbassare le tensioni a livello globale», di fronte a «escalation di violenza che provocano solo più violenza».
«La partita si gioca ora», aveva ricordato il Papa. «Bisogna, perciò, dare un nome e cognome alle difficoltà» che deve affrontare l’umanità nel periodo post-pandemico. Un principio che vale anche per le sfide poste della Cop26 sul clima di Glasgow, aveva sottolineato ancora il Pontefice.
Domenica scorsa, poi, all’Angelus il nuovo auspicio per il vertice apertosi in terra scozzese: «Che la Cop26 sappia ascoltare il grido della terra e dei poveri». Ai gravi problemi di oggi bisogna dare «risposte efficaci che offrano speranza concreta alle generazioni future». In sostanza «è tempo di cambiare marcia», cioè di «cambiare le cattive abitudini».
A Glasgow la parola del Papa risuonerà per il tramite del suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, il cui intervento è in programma oggi pomeriggio. Il quale ha già anticipato che «la Santa Sede auspica che la Cop26 possa realmente riaffermare la centralità del multilateralismo e dell’azione, anche attraverso i cosiddetti attori non statali». Una fiducia, quella nel multilateralismo, di cui del resto lo stesso Papa ha dato prova anche nei giorni scorsi ricevendo alcuni dei protagonisti del G20, compreso il leader indiano Modi, a capo di una delle nazioni più importanti del mondo in via di sviluppo. Ora tocca ai politici rispondere ai suoi appelli. Biden per esempio ha detto che «Francesco è tutto quello che ho imparato, da quando ero piccolo, sul cattolicesimo». Sul clima ha l’occasione per mettere in pratica quell’insegnamento.