Laura Frigenti - GPE
Investire sull’educazione dei giovani africani è lo strumento più efficace per lo sviluppo del Continente nero. «In fondo è quello che ha permesso all’Italia agricola e poco alfabetizzata del dopoguerra di diventare in un paio di decenni un paese industrializzato», sottolinea Laura Frigenti, direttrice generale della Global Partnership for Education. Con 6 miliardi di dollari la Gpe ha contribuito al finanziamento dell’istruzione nell’Africa subsahariana, portando a scuola dal 2002 a oggi 160 milioni di bambini in più. Ma per l’Obiettivo di sviluppo sostenibile n° 4 "Istruzione di qualità", ne servono 97. Una cifra importante, che comunque è solo il 4% della spesa globale per la difesa (2.443 miliardi di dollari nel 2023). L’istruzione incompleta in 12 Paesi africani ha provocato la perdita di 63 miliardi di dollari in ricchezza patrimoniale.
Il governo italiano ha più volte ribadito che intende puntare sullo sviluppo dell’Africa. La Gpe da tempo insiste sull’importanza di investire sulla scuola. Perché?
Le proiezioni demografiche ci dicono che nel 2050 il 40% dei giovani del mondo sarà in Africa. Nei paesi a basso reddito, in maggioranza africani, 250 milioni di bambini sono fuori dal sistema scolastico. Che futuro avranno? Disoccupazione o, se va bene, lavori nel settore informale. Non è la Gpe, sono questi numeri a dirlo. Mi sorprende l’assenza di interesse di molti paesi, ma sono molto contenta che la presidenza italiana del G7 abbia messo l’educazione al centro già col summit Italia-Africa a gennaio, il Piano Mattei, il dialogo con l’Unione africana. Come diceva Jeffrey Sachs, “la geografia diventa il destino di un Paese”. L’Italia è ponte verso l’Africa, e in questo interesse c’è sicuramente la volontà di trovare, insieme, soluzioni per arginare fenomeni che se incontrollati diventano ingestibili.
L’Italia si dichiara disponibile a investire sull’educazione. E gli altri paesi?
La spinta da parte dell’Italia c’è stata. Nel G7 dell’educazione a Trieste, in cui saremo particolarmente coinvolti, l’Africa sarà sicuramente un punto importante e condiviso da altri paesi. L’Italia non solo ha fatto lo sforzo di mettere l’Africa al centro, ma anche di creare un consenso intorno al tema dell’educazione.
Quale potrebbe essere un segnale concreto da parte dell’Italia, a riprova di questi impegni?
Vedo due segnali: il primo è il Piano Mattei, per un modello diverso di sviluppo che sia partnership, non più Paese donatore e Paese ricevente. Le politiche di sviluppo che funzionano sono quelle in collaborazione con i paesi destinatari, non imposte. Il primo è sul modus di come si deve collaborare. Il secondo è sulla crescita degli investimenti.
L'Ocse però ha calcolato che il governo italiano nel 2023 ha tagliato 580 milioni di euro all’Aiuto pubblico allo sviluppo.
In questo momento le risorse dell’Aps sono fortemente sotto stress a causa del sostegno all’Ucraina, delle crisi del Mediterraneo, della contrazione del gettito fiscale in molti paesi. Spero che all’enfasi data al tema segua un aumento degli investimenti. Ma c’è un terzo elemento, la collaborazione pubblico privato: dove i fondi dell’Aiuto pubblico non arrivano, è possibile compensarli con l’aiuto privato. Bisogna pensare a un’architettura finanziaria dell’Aps diversa da quella tradizionale.
Anche tra chi va a scuola, il 70% in quarta elementare non sa leggere o scrivere - GPE/Translieu/Alice
E quali sono i paesi africani che hanno più problemi sul fronte dell’educazione?
Sono tutti in crisi sul fronte della formazione, ma sono i più grandi ad avere i maggiori problemi. La Nigeria, che nel 2050 avrà altri 150 milioni di studenti. Poi l’Etiopia, la Repubblica democratica del Congo. E c’è la grande instabilità dell’area del Sahel, dove ci sono pochissimi investimenti in educazione e la stragrande maggioranza dei minori è al di fuori del sistema scolastico. C’è stato un grande incremento nell’adesione a gruppi islamisti radicali. Se ai ragazzi non si offre nessuna speranza di vita migliore, diventano vittime di chi gli offre comunque un percorso.
Spesso le uniche scuole accessibili sono le scuole coraniche.
Penso ai giovani del nord della Nigeria che entrano in Boko Haram. In un altro contesto, con una traiettoria di formazione e transizione verso il lavoro, sicuramente avrebbero fatto altre scelte. Il fallimento dell’educazione lascia spazi che vengono occupati da altri.
Dove si deve intervenire? Edifici scolastici? Corpo docente?
In Africa c’è bisogno di 15 milioni di insegnanti, 44 milioni in tutto il “Sud globale”. E per ceare rapidamente personale qualificato, quante persone devi portare dentro il sistema scolastico? È una lunga "catena di montaggio". Il dato più terribile è che nei Paesi a basso reddito, 7 bambini su 10 arrivano alla fine della quarta elementare e non sanno leggere né scrivere una frase. C’è un enorme problema di qualità dell’insegnamento, che scoraggia i genitori dal mandare i figli a scuole.
Lei è membro del Geac, il Gender Equality Advisory Council, il Consiglio consultivo per l'uguaglianza di genere, gruppo internazionale e indipendente di esperti, convocato dalla Presidenza del G7. C’è anche un problema di genere nel gap educativo dell’Africa?
Prima del Covid l’educazione sembrava aver imboccato una traiettoria abbastanza positiva. Pur senza raggiungere la parità di genere nell’educazione primaria, erano stati fatti passi da giganti rispetto agli anni ’80. Dopo tre anni di chiusura per la pandemia, vediamo che ragazzi e ragazze non tornano a scuola allo stesso ritmo: i maschi molto di più delle femmine. Se le ragazze non sono a scuola, spesso le aspetta un triste destino di matrimoni e maternità precocissime, problemi di salute, incapacità di accedere al mercato del lavoro, un futuro di povertà e di isolamento. I leader dei paesi sviluppati devono capire che l’unico strumento per ridurre le disuguaglianze e creare un mondo più stabile è dare opportunità alle persone attraverso l’educazione. Servono più risorse, serve una parziale cancellazione del debito dei paesi a basso reddito africani.
L’educazione come strumento di riscatto ricorda molto il messaggio di don Lorenzo Milani
In fondo l’Italia del dopoguerra di don Milani era un paese che aveva situazioni simili a quelle dei paesi africani: un paese agricolo, grandi disuguaglianze, bassissimo tasso di alfabetizzazione. I governi del dopoguerra cosa fecero? Investirono fortemente nell’educazione, rendendo la scuola pubblica efficiente. Questo ha reso l’Italia più uguale, aumentando l’uscita di fasce sociali dalla povertà e rafforzando la classe media. Tutto grazie alla riforma del sistema dell’educazione e alla riforma sanitaria.
Abbiamo già avuto la prova nel nostro Paese che investire sull’educazione crea sviluppo e progresso?
Esatto. E in un tempo brevissimo. Dal dopo guerra agli anni del boom economico il percorso è stato enorme. Oggi siamo un paese del G7.