Il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti - Ansa
L'Europa ha trovato l'accordo per il Patto di stabilità, ovvero sulle regole che garantiscono la disciplina dei bilanci dei Paesi dell'Unione. La prima approvazione risale al 1997, poi è stato sospeso nel 2020 a causa della pandemia di Covid che ha danneggiato gravemente l'economia continentale, e adesso torna in vigore con il nuovo anno con una serie di modifiche che tengono conto della mutata situazione economica europea e internazionale.
Anche l'Italia ha espresso parere favorevole, tramite il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti che ha partecipato alla riunione straordinaria dell'Ecofin in videoconferenza.
Ecco come cambierà il Patto Ue
Il principio: ridurre la spesa pubblica
Il Patto di stabilità e crescita è l’insieme delle regole che disciplinano la gestione dei conti pubblici nei Paesi membri, siglato nel 1997 e poi modificato a più riprese, fino alla sospensione nel 2020 per la pandemia. Il principio cardine della riformà è il taglio della spesa pubblica netta. I Paesi Ue con un rapporto debito/Pil oltre il 60% (oggi la maggior parte) dovranno concor-dare con la Commissione un piano di risanamento della durata di 4 anni; ma in caso di investimenti e rifor-me può essere esteso a 7 anni. Quando il deficit supera il tetto del 3% la Commissione ha mantenuto la regola automatica di un rientro medio annuo dello 0,5%.
La fase transitoria sugli interessi
È passato quindi il principio (“sgradito” per l’Italia)che nel caso di una procedura fatta scattare dalla Commissione per deficit eccessivo, l’aggiustamento dei conti si misuri appunto in termini di saldo strutturale del bilancio (era la richiesta di Germania e Olanda) e non di saldo primario, cioè senza contare gli interessi sul debito pubblico. La novità più positiva per il governo è il periodo transitorio stabilito:tra il 2025 e il 2027 (guarda caso, dicono i maligni, quando da noi finirà la legislatura) si terrà comunque conto dei costi di tali interessi sul debito, sempre con l’obiettivo di lasciare più margini ai Paesi per gli investimenti.
Il “braccio preventivo”
Per i Paesi che hanno anche un rapporto debito/Pil superiore al 90% (come l’Italia) arriva un nuovo vincolo: i “falchi” hanno preteso che il loro deficit debba tendere al livello dell’1,5%, quindi meno del 3% fissato a Maastricht (oltre a dover ridurre il debito dell’1% l’anno). Per costituire questa riserva fra l’1,5 e il 3, dovranno ridurre il disavanzo annuo dello 0,4% del Pil (per noi sono circa 7,6 miliardi) in caso di piani di rientro da 4 anni, passibile di riduzione allo 0,25% nel caso dei 7 anni. Sarà consentito loro di deviare dal percorso sulla spesa di massimo lo 0,3% annuo e dello 0,6 cumulativamente nel periodo sotto esame.
La procedura e i piani di spesa
I Paesi che finiranno sotto procedura dovranno concordare l'uso dei propri fondi pubblici con la Commissione Europea, nel rispetto dei percorsi di miglioramento dei conti e di aggiustamento del debito pubblico. I piani ad hoc sono quadriennali e, con una concessione di flessibilità, potranno essere estesi a sette anni tenendo conto degli sforzi di investimento e di riforma compiuti dai governi nazionali per attuare i Pnrr. Quanto ai tempi, le nuove regole dovranno essere approvate ora dall'Eurocamera per essere varate entro aprile 2024.