Il guastafeste si chiama Matteo Renzi. È l’ex premier che stavolta si prende lo "sfizio" di rompere le uova nel paniere a Di Maio e Salvini, reclamando il voto il 29 luglio e portando il Pd verso l’astensione sul governo Cottarelli. Un cambio di passo che ha spiazzato i leader M5s e Lega, che invece avevano messo in piedi un percorso liscio: «no» alla fiducia all’economista scelto dal Colle, attacco congiunto al «governo dei poteri forti» sostenuto solo dai dem, l’inizio dei lavori delle Commissioni per fare da controcanto a Palazzo Chigi, il tavolo sulla legge elettorale per spostare le urne dall’impopolare data di agosto a metà settembre.
«Troppo comodo», avrà pensato l’ex segretario dem ieri in presidio fisso al Senato. Che ha quindi lanciato l’ordine: «Voto il 29 luglio con un decreto che corregga la norma sugli italiani all’estero», annuncia Renzi.
Di Maio è costretto alla reazione. Per lui, più che per Salvini, le urne a stretto giro sono un rebus. E quindi in serata, dalla sua Napoli, costruisce il colpo di teatro. E da attore consumato, fa salire la tensione battuta dopo battuta. «L’impeachment non è più sul tavolo perché "cuor di leone" Salvini non ci sta», è la premessa. E poi: «Se abbiamo fatto sbagli lo diciamo, siamo pronti a rivedere la nostra posizione». E ancora: «Il problema non è il Quirinale, ma qualche funzionario. Noi siamo disponibili a trovare soluzioni ragionevoli. Una maggioranza c’è, Cottarelli prima si deve prima presentare gli elettori. Abbiamo un programma, o si parte o si vota».
È forse l’inversione a U più sorprendente di questi giorni. L’addio all’impeachment, attribuito a Salvini ma in realtà figlio di una strategia di distensione con il Colle. E la disponibilità a portare le lancette dell’orologio alle 20 di domenica, quando Mattarella accertò la fine prematura dell’esecutivo Conte. Le parole di Di Maio sembrano esprimere la volontà di ripartire dal giurista pugliese e dalla squadra di ministri che al 99 per cento aveva superato il vaglio di Mattarella. Volendo offrire un surplus di interpretazione, il leader M5s pare poter rinunciare a Savona ministro del Tesoro.
Ma è la sua posizione o anche quella di Salvini? Dal pomeriggio, dopo la sua diretta Facebook, il leader della Lega sparisce dai radar. E in serata, atteso a Siena per un comizio, tarda a prendere la parola e alla fine non si sbilancia. Secondo diverse ricostruzioni, la svolta di Di Maio sarebbe nata proprio da un incontro tra il capo M5s e il segretario del Carroccio. Altri assicurano che c’è stata una mediazione di Giorgetti direttamente con il Quirinale per riaprire la partita. Alcuni cronisti sostengono di aver rivisto Giuseppe Conte a Montecitorio. E diversi tra questi soggetti avrebbero parlato anche con Cottarelli. In più, Meloni si sarebbe offerta per rafforzare la maggioranza giallo-verde.
A pro di che? A pro di un esecutivo M5s-Lega che superi il nodo della discordia, Savona. O con Giorgetti al Tesoro o addirittura con lo stesso Cottarelli. Salvini, però, tace. E quindi per lui possono valere solo le parole del pomeriggio, quando assicura che lui, Savona, alle prossime elezioni lo candiderà con la Lega.
Il Colle, coerentemente con quanto detto, lascerebbe ancora spazio ad un tentativo politico. Ma manca, appunto, la risposta della Lega. Se fosse negativa, si potrebbero aprire mille altri scenari, compreso quello di un conflitto 5s-Carroccio che potrebbe spaccare il blocco del «no» a Cottarelli o, addirittura, un tentativo di Salvini per un esecutivo di minoranza di centrodestra.
Intanto Di Maio la sua parte l’ha fatta. Compresa anche la derubricazione della manifestazione a Roma del 2 giugno a «festa in continuità con la sfilata della mattina, cui partecipa anche Fico».
Tutto è fluido. Ieri pace, domani forse di nuovo guerra. Il convitato di pietra è la legge elettorale. Ieri i capigruppo M5s e Lega - ma senza Giorgetti - si sono incontrati per scegliere i 2-3 provvedimenti da portare avanti nel caso partisse Cottarelli. Ma anche per parlare di legge elettorale. L’assenza di Giorgetti si è rivelata pesante. Fa crescere in 5s la sensazione che il Carroccio tratti sia con Di Maio sia con Berlusconi. E rimettere in pista il governo del cambiamento potrebbe essere funzionale a "stanare" Salvini e, magari, usando la transizione di Cottarelli, provare a scrivere le regole - proporzionali - col Pd. Mille scenari per una notte caotica.