La risposta che Matteo Renzi dà ai senatori dissidenti è più nei fatti che nelle parole: stamattina, alle 9, incontra Silvio Berlusconi. Un vertice che si terrà prima del nuovo incontro con il gruppo di Palazzo Madama. Ai 'suoi', dunque, il premier porterà un patto blindatissimo che comprende tutto: il varo ultrarapido di Italicum e riforma costituzionale e il profilo del prossimo presidente della Repubblica. Per chi si aspettava che Renzi chiudesse prima la falla a sinistra (magari incontrando Bersani) e poi si mettesse a ragionare con l’ex Cav, è una doccia gelata. «Ora basta, questa legge elettorale è cambiata all’80 per cento rispetto alla prima versione della Camera. Paragonarlo al Porcellum è un’offesa che non posso digerire. Ci sono i collegi. Ci sono le preferenze. C’è governabilità vera. È un pretesto ma ora la chiudiamo qui», si è sfuriato ieri il presidente del Consiglio con il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti, gran mediatore tra le due anime del partito, convocato d’urgenza a Palazzo Chigi dopo l’ennesimo braccio di ferro inscenato da Gotor e gli altri. A Palazzo Madama, dopo questo vertice di governo, è arrivata una parola lapidaria: la mediazione è finita. Sì, Renzi stamattina, guardando negli occhi Berlusconi, gli chiederà se è disposto a modificare ancora qualcosa nel rapporto nominatipreferenze nella legge elettorale, ma non forzerà la mano. «Parliamoci chiaro – affonda una fonte di governo –: Silvio ha ceduto sui listini bloccati, sulle soglie, su tutti i cambiamenti che gli abbiamo chiesto. Noi contiamo che non si opponga nemmeno al premio alla lista...». Come a dire: se il leader di Forza Italia punterà i piedi sui capilista bloccati (l’aspetto della legge che più gli interessa) nessuno se la prenderà più di tanto. E i dissidenti come la prenderanno quando, alle 12 di oggi, si troveranno a votare, di fatto, un Nazareno 3.0 ancora più vincolante. «Resteranno in dieci, vedrete. Non saranno decisivi per nulla. Si faranno fuori da soli da tutti i giochi», assicura Renzi. Il perché di tanta sicurezza il premier, nei suoi discorsi privati, lo fa intendere subito dopo: «Bersani li farà rientrare. Lui vuole stare nei giochi fino alla fine». L’ex segretario in serata, in tv, non fa nulla per smentirlo: «Io dal Pd non me ne vado, è casa mia». L’Itali-cum? Tanti dubbi, tante perplessità, però poi alla fine «votare contro la decisione del mio gruppo, dopo riunioni e assemblee, io non lo farei. Il Parlamento ti offre altre possibilità, si può non votare...». Se Bersani farà il suo per limitare al massimo le perdite al Senato sull’Italicum e bloccare eventuali franchi tiratori sul Colle («Non ce ne sono, mi offendo se lo dite»), allora per Renzi si aprirebbe uno scenario che sinora ha solo sognato. Il patto con Berlusconi, il filo diretto con Alfano e il non ostruzionismo benevolo di Bersani renderebbero possibile votare il capo dello Stato al primo turno, già il 29 gennaio. L’ex segretario ci crede, quasi lo promette al premier. E il premier accarezza l’idea: ma prima vuole vedere le riforme approvate. Poi si sceglierà quello che anche ieri sera, parlando sulle reti Mediaset, ha definito come «un arbitro, non un giocatore. Ma la proposta tocca a noi, tocca al Pd, per questo incontriamo tutti».