Lo fa con una nota dell’ufficio stampa che prende spunto da ricostruzioni giornalistiche che «continuano a chiamare in causa il nome di Comunione e Liberazione a proposito delle vicende politiche paventando divisioni e contrasti all'interno del movimento sulle scelte elettorali» dell’imminente futuro, si legge nel comunicato.
Da qui la presa di posizione che si articola in due punti: il primo è per ribadire che l’«unità del movimento» non va a braccetto con appartenenze politiche ma «è legata all'esperienza originale di Cl (e in questo senso viene prima di qualunque opinione o calcolo pur legittimo)»; il secondo punto serve a sottolineare che «l'impegno politico in senso stretto riguarda la persona e non Cl in quanto tale». Però, quando si sceglie la strada della partecipazione, serve lasciarsi guidare da «criteri ideali» che trovano origine nell’«educazione ricevuta e in continuità col magistero ecclesiale» e che si traducono in atti «in favore del bene comune, della libertà della Chiesa e del benessere anche materiale del Paese».
Come riferimenti il movimento indica le parole di don Giussani di metà anni Settanta che «possono rappresentare anche oggi un contributo per vivere da cristiani nei vari ambiti della società, fino alla politica». «Il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva – sottolineava il fondatore di Cl – è la sua stessa esistenza, in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive». Ed essa, «per propria natura, non chiede la libertà di vita e di espressione come solitario privilegio, ma piuttosto di riconoscimento a tutti del diritto di tale libertà. Quindi, per il solo fatto di esistere, se sono autentiche, le comunità cristiane sono appunto garanti e promotrici di democrazia sostanziale».
Poi «la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d'affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata». Infine don Giussani ricordava che «quando dalla fase della sollecitazione e dell'animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale ad impegnarsi, ma sono le singole persone». E perciò, «non è affatto né corretto né leale l'uso, invalso su molti giornali, di definire "candidati di Cl", "consiglieri comunali di Cl" quei militanti del nostro movimento che si sono direttamente impegnati nelle campagne elettorali ed in genere nella militanza politica». Ecco, quindi, l’invito del sacerdote a «un’irrevocabile distanza critica» per evitare che l'esperienza ecclesiale finisca per «essere strumentalizzata».