Il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas internationalis, ieri a San Paolo fuori le Mura - Caritas Italiana
Chiesa in uscita da mezzo secolo, nelle periferie con i poveri con lo spirito nuovo del Concilio. A San Paolo fuori le Mura 850 rappresentanti del popolo delle Caritas hanno aperto con una preghiera guidata dal presidente, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, con il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas internationalis e prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, la due giorni di celebrazioni per i 50 anni dell’organismo pastorale italiano.
Nella basilica, San Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959, annunciò l’indizione di un Concilio della Chiesa universale e significativamente qui vicino, in viale Baldelli, don Giovanni Nervo avviò con don Giuseppe Pasini e un piccolo gruppo di collaboratori la Caritas, secondo le indicazioni di Paolo VI che portarono la Cei a costituirla il 2 luglio 1971 in sostituzione della Poa, la Pontificia opera di assistenza. E nella basilica paolina Tagle, commentando l’inno alla carità di san Paolo, ha ricordato l’importanza del dono e del servizio. «I doni non devono diventare occasioni di superiorità sugli altri, per Gesù – ha proseguito il cardinale filippino – è ipocrita chi fa del bene perché la gente lo ammiri».
Sono le storie minime a cambiare il corso degli eventi, la Caritas spesso ne è testimone e Tagle ne conosce tante. Sono storie di Chiesa in uscita che spiegano meglio di tanti documenti cosa sia l’opzione preferenziale per i poveri.
Una operatrice di Caritas Libano, ha raccontato il prelato, un giorno in Siria mentre andava a un convegno in taxi si vide rifiutato il compenso della corsa dal guidatore. Non voleva prender soldi dalla Caritas, le disse. Alla richiesta di spiegazioni, perché la donna non si era presentata come operatrice della Caritas, il tassista le rispose che tre anni prima era in un centro di detenzione perché clandestino. Stava male, nessuno gli dava le medicine. Gliele diede proprio quella donna e lui per la prima volta quella notte dormi e il suo volto gli rimase impresso. Per quello l’aveva riconosciuta e voleva esprimere come poteva la sua riconoscenza.
«Anche i poveri donano – ha affermato Tagle – anzi ci danno più di quanto ricevono». Lui stesso a Manila ha ricevuto, nei sui giri nelle periferie più infime, pacchetti di fazzoletti di carta dagli ambulanti che volevano a tutti i costi fare un dono al loro vescovo anche se non possedevano nulla. «Quando una parte del corpo soffre, tutto l’organismo soffre. Stanchezza e stress ci fanno perdere la gioia del servizio, durante la pandemia anche lavoratori e volontari della Caritas hanno sofferto, ma la sofferenza ci rende fratelli e sorelle dei poveri».
Nell’ottobre 2015 a Idomeni, in un campo profughi vicino all’ex repubblica Jugoslava di Macedonia, si affollavano migliaia di famiglie in fuga dai conflitti in Siria, Iraq e Afghanistan. Disperate, angosciate e ferite, ma dignitose. Una donna greca colpì Tagle perché stava distribuendo da sola cibo e medicine. «Le ho chiesto – ha ricordato – se fosse il suo lavoro. Era una volontaria, mi rispose. E quando le chiesi perché lo facesse, mi rispose che anche i suoi antenati erano profughi, quindi quelli sentiva che erano i suoi fratelli e sorelle». Storie che sono un contemporaneo inno alla carità, piene di amore cristiano e di gioia, dono e servizio che devono essere più forti dell’invidia e della gelosia secondo il prelato. «Cinquant’anni sono tanti – ha concluso – ma il cammino della carità non finisce mai».
Stamattina la Caritas italiana sarà ricevuta dal Papa in aula Paolo VI insieme al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei.