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Non c’è isolamento che tenga, nemmeno quello più severo previsto dal regime 41bis per i reati di associazione mafiosa: cresce ovunque il contagio nelle carceri italiane, anzi la diffusione del Covid proprio nel 41bis «ha superato di gran lunga i casi registrati nella primavera scorsa».
Lo affermano i Garanti regionali dei detenuti, che hanno scritto al Parlamento alla vigilia della conversione in legge del decreto Ristori (il quale già prevede di porre ai domiciliari 2.202 reclusi) per chiedere di diradare ulteriormente le presenze in cella così da «poter giungere a una significativa riduzione del numero dei detenuti negli istituti di pena, a partire da quello già indicato dal Garante nazionale, applicando in modo estensivo e razionale le stesse previsioni dal decreto senza sacrificio della sicurezza sociale, nell’auspicio che le stesse possano andare a beneficio anche dei soggetti più deboli (psichicamente fragili, tossicodipendenti, alcoldipendenti, senza fissa dimora)».
Tradotto: le carceri italiane, notoriamente sovraffollate, stanno diventando pericolosi focolai di contagio e per 'spegnerli' è necessario praticare anche lì il distanziamento nell’unico modo possibile: applicando cioè misure di detenzione alternative. Anche perché ormai l’avanzata del virus fa strage pure negli operatori penitenziari: lunedì erano ben 936 i casi accertati di positività fra gli agenti e 758 fra i detenuti, distribuiti in 76 penitenziari, contro rispettivamente 885 e 638 solo venerdì scorso.
«Un balzo in avanti» di cui è giustamente preoccupato Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa, che per la Polizia penitenziaria vorrebbe più «deflazionamento», supporto adeguato e «potenziamento incisivo dei servizi sanitari in carcere»: «Chiediamo alla comunità scientifica e a chi di competenza di calcolare l’indice di contagio (Rt) in carcere e nuove misure da parte del governo. Indugiare ancora potrebbe essere funesto». Nell’appello al Parlamento i Garanti dei detenuti ritengono che le misure previste dal decreto Ristori siano una «risposta inadeguata»: non è sufficiente far uscire solo le 2202 persone fornite di «idoneo domicilio» e con «un residuo di pena inferiore ai 18 mesi e nessuna preclusione ostativa ». Occorre aumentare i numeri. Come? «Riteniamo pienamente condivisibile e dunque auspichiamo – scrivono i Garanti – che possa essere accolta anche la proposta di prevedere una liberazione anticipata speciale e la sospensione dell’emissione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive fino al 31 dicembre 2021».
Inoltre, per assicurare tempestività ai provvedimenti, bisogna facilitare le pratiche dei magistrati di sorveglianza che decidono i domiciliari e potenziarne gli uffici, che «peraltro sono significativamente in sofferenza». L’emergenza virus in cella è stata rimarcata anche dal presidente dell’associazione Antigone Sicilia Pino Apprendi, che ha appena visitato le carceri palermitane dell’Ucciardone e Pagliarelli: «Il Covid in carcere c’è, ed è un fatto che deve preoccupare tutti perché si tratta di un luogo vissuto oltre che dai detenuti anche da tante persone che ci lavorano: appartenenti alla polizia penitenziaria, assistenti sociali, educatori, psicologi, infermieri, medici, impiegati amministrativi, volontari; quasi lo stesso numero dei ristretti. Il pericolo è alto: nella prima fase eravamo un poco più tranquilli, ma ora il Covid è entrato prepotentemente» in prigione.
Persino dove vige il 41bis: ad esempio nel carcere di Tolmezzo su tre positivi, due sarebbero appunto detenuti sottoposti a regime di isolamento e anche tra i 15 positivi di Opera (Milano) ci sarebbero reclusi al 41bis. «Il virus è ovunque – assicura il sindacalista De Fazio – e arriva anche nei reparti ad alto isolamento dove comunque i detenuti hanno diritto a un minimo di socialità e poi hanno contatti con gli agenti, con lo 'spesino' e con chi gli porta il vitto».