Ansa
È record di sbarchi sulle coste joniche della Calabria. Nei primi dodici giorni di ottobre sono stati il doppio di tutto il mese di settembre, 10 rispetto a 5. E anche le persone sbarcate sono raddoppiate, passando da 319 a 635. Le ultime due imbarcazioni sono arrivate domenica all’alba a Roccella Jonica nella Locride e ieri mattina a Crotone. Nella prima 57 immigrati di nazionalità iraniana e irachena, tra loro anche 3 donne e 18 minori, di cui 9 non accompagnati, e nella seconda 56, tutti pachistani tra i quali 18 minori. E sono solo gli ultimi. Il mese è cominciato il 2 con 45 sbarcati a Crotone e altri 50 nel Reggino, il 3 sono arrivati in 70 a Roccella Jonica dove il giorno dopo ne sono sbarcati ben 152, il 6 nuovamente Crotone con 62 e Copanello, in provincia di Catanzaro, con 50. L’8 nuovo sbarco a Roccella Jonica di 50 immigrati e il 10 nello stesso porto altri 43. Quasi uguale la tipologia. Barche a vela provenienti dalla Turchia, in particolare il porto di Antalaya, e dalla Grecia, scafisti dei paesi dell’est Europa. «Dietro c’è sicuramente un’organizzazione.
Ma c’è anche un’evidente tolleranza da parte dei governi dei Paesi da cui partono le barche» ci spiega un responsabile delle forze dell’ordine calabresi. E c’è anche il timore che i trafficanti stiano cambiando strategie. Ci sono già dei segnali. In genere le barche a vela sono considerate “a perdere”, cioè vengono abbandonate dopo lo sbarco oppure sono intercettate dalle motovedette italiane. In alcuni casi gli immigrati sono stati trovati già a terra, mentre del veliero non c’era traccia. Evidentemente rientrato alla “base” per un nuovo viaggio. Ma a preoccupare particolarmente gli investigatori è lo sbarco del 4 ottobre, quando a portare 152 immigrati a Roccella Jonica è stato un vecchio peschereccio. In Calabria non si era mai visto un arrivo di così tante persone e su una barca di questo tipo. È il segnale che i trafficanti stanno puntando su questa rotta, molto meno sotto i riflettori rispetto a quelle dalla Libia e dalla Tunisia? I numeri lo confermerebbero.
Dall’inizio dell’anno fino ad agosto c’erano stati solo 14 sbarchi, con 814 persone, e questo in otto mesi rispetto ai 635 che sono arrivati in questi primi dodici giorni di ottobre: uno a marzo (12 persone), due a giugno (113), tre a luglio (170), otto ad agosto (519). Numeri che preoccupano, anche perché questi sbarchi sembrano non fare notizia. Solo l’esplosione di una barca il 30 agosto, davanti a Sellia Marina, che ha provocato la morte di tre immigrati e il ferimento di due finanzieri che stavano prestando soccorso ha attirato un po’ di attenzione. Poi più nulla. «Ma la situazione sta ogni giorno peggiorando – denuncia ancora chi sta coordinando soccorsi e accoglienza –. Gli uomini ormai sono stressati.
Devono uscire in mare di notte e con l’emergenza Covid– 19 tutto sta diventando più complicato». Inoltre la decisione della procura di Crotone di indagare per omicidio colposo plurimo e incendio colposo quattro finanzieri della Sezione operativa navale di Crotone, due dei quali rimasi feriti, che hanno soccorso il barcone poi esploso, ha provocato tensione e ora questi uomini temono di sbagliare. Per ora l’organizzazione regge. Le persone sbarcate vengono ospitate per la quarantena in strutture calabresi predisposte da tempo o sulle navi in Sicilia. Si era pensato di spostarne una nel porto di Corigliano, ma l’opposizione dell’amministrazione comunale ha bloccato tutto. Per fortuna tutti gli altri sindaci stanno collaborando e non ci sono tensioni. Unica eccezione è l’amministrazione comunale di Riace, a guida leghista, che conferma la totale inversione di rotta rispetto al sindaco accogliente Mimmo Lucano. Ma c’è bisogno di maggiore attenzione a livello nazionale rispetto a questo territorio. E serve un chiaro intervento sui Paesi di partenza di queste rotte. «Non ci sono solo Libia e Tunisia» si sfoga il nostro interlocutore.