L'infettivologo Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie infettive e tropicali - Archivio Ansa
“Ha presente il cavallo di Troia? Viene introdotto nelle mura della città con il ventre pieno di soldati, che di notte la espugnano. Anche contro il Covid abbiamo oggi un cavallo di Troia, grazie a una tecnologia mai usata prima d’ora per un vaccino: introduciamo nel corpo umano piccolissime particelle del coronavirus Sars-CoV2, che una volta dentro vanno a stimolare una risposta immunitaria contro se stesse, cioè contro il Covid. Se un giorno dovessimo incontrarlo, ci troverebbe con le armi già pronte a riconoscerlo e vincerlo”. Degli oltre 260 vaccini anti-Covid studiati nel mondo, cinque hanno raggiunto una fase avanzata di sperimentazione e sono prossimi all’utilizzo nella pratica clinica, ma ciò che soprattutto affascina l’infettivologo Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie infettive e tropicali, è proprio la sofisticata tecnologia utilizzata per due di questi, che ha permesso di ottenere risultati insperati. “Sempre che quanto comunicato dalle industrie farmaceutiche corrisponda a ciò che leggeremo quando avremo veramente in mano i dati”.
Dunque lei si vaccinerà, appena possibile?
Senza alcun dubbio. I vaccini che verranno autorizzati e distribuiti vorrà dire che avranno passato tutti i test di sicurezza. Se non crediamo in questo, allora neghiamo la validità di tutta la ricerca e a questo punto dovremmo rifiutare qualsiasi sperimentazione, anche i farmaci contro l’Epatite C o gli ultimi ritrovati contro il cancro. Torniamo alla preistoria? Gli Stati stanno comprando i diversi tipi di vaccini, poi man mano svilupperanno campagne vaccinali con il prodotto che sarà a disposizione in quel momento: noi li riceveremo da un lotto o da un altro, ma do per scontato che saranno tutti ugualmente validi.
Ci aiuta a orientarci tra le tante notizie, forse troppe, sui prodotti in lizza nel mondo?
Occorre premettere che i vaccini contro un virus si possono creare con diverse formulazioni. O si inocula il virus intero ma ucciso o inattivato in modo che non si possa replicare, oppure si introducono solo piccole componenti del virus, inserite in un veicolo. Così funzionano i cinque vaccini che hanno già sperimentato la fase 3, ovvero quella che richiede la prova su decine di migliaia di persone. Due studi sono americani e sono i vaccini prodotti da Pfizer e da Moderna. Uno è europeo con l’apporto italiano del laboratorio di Pomezia ed è il vaccino di AstraZeneca. Poi ce ne sono uno cinese e uno russo. Tutti e cinque veicolano la parte di virus che chiamiamo proteina Spike, ovvero la molecola che ricopre il coronavirus e con cui questo si aggancia alle nostre cellule. Creare anticorpi contro questa proteina impedisce quindi al Sars-CoV2 di infettare le cellule.
Iniziamo da Pfizer e Moderna: la loro tecnologia è inedita.
Entrambi utilizzano un frammento del virus Sars-CoV2, il cosiddetto “Rna messaggero”, nanoparticella che, una volta entrata, esprime la proteina Spike. Moderna è stato sperimentato su 30mila persone, va somministrato in due volte a un mese di distanza e, secondo i produttori, dà una protezione del 94,5%, risultato ottimale visto che i vaccini di solito si fermano all’80%. Pfizer ha arruolato 43mila pazienti, 21.500 hanno ricevuto il vaccino, gli altri 21.500 solo un placebo. Anche questo va dato in due dosi e ha una protezione dichiarata del 94%. La differenza rilevante è che Pfizer va mantenuto a meno 80 gradi, Moderna a meno 20 ma può essere distribuito a 5 gradi, cosa non da poco pensando a una dotazione in larga scala.
Gli altri tre vaccini in corsa funzionano invece in modo più tradizionale.
Per portare dentro la proteina Spike usano come “cavallo di Troia” un adenovirus degli scimpanzé, virus che negli animali causa malattie respiratorie ma per l’uomo è innocuo. Per AstraZeneca, il vaccino anglo-italiano, occorrono due somministrazioni in un mese. Non abbiamo ancora i dati sulla protezione che dà, ma sappiamo che produce alte quantità di anticorpi ed è ben tollerato: mesi fa uno dei pazienti aveva sviluppato una mielite, ma si trovava nel gruppo placebo, dunque la malattia non era correlabile al vaccino. Quanto al vaccino cinese della CanSino, basta un’unica dose senza bisogno di richiamo, i dati non sono pubblicati ma in Cina è già registrato e iniettato su larga scala al personale sanitario e ai militari. Lo Sputnik 5 russo, infine, testato su 16mila volontari, si dà in due dosi e ha una protezione dichiarata del 92%. Insomma, lo scenario è per tutti molto incoraggiante, ma prima di esultare bisogna vedere se i dati annunciati in termini di sicurezza ed efficacia saranno rispettati: dopo la fase 3, che è l’ultima nella sperimentazione, c’è una fase 4, quando il vaccino è già usato nella pratica clinica ma resta sotto osservazione.
Quali le difficoltà?
L’elemento critico è la tempistica, vista la numerosità dei soggetti che devono essere vaccinati. Poi dobbiamo attendere la registrazione all’Ema, l’organismo che presiede alle autorizzazioni, peraltro già richiesta da Pfizer e da AstraZeneca, mentre Moderna sta presentando la documentazione. E soprattutto dovremo attendere la produzione di un numero di fiale sufficienti per avere la famosa immunità di gregge, che si ottiene in modo sicuro solo se l’80% delle persone viene vaccinato. Posto che circa un milione di italiani si sono già infettati e quindi in parte immunizzati (ma non si sa per quanto tempo), decine di milioni sono da vaccinare e i tempi saranno lunghi. Nel frattempo è assolutamente necessario usare mascherine, gel disinfettante, distanziamento. Infine c’è l’incognita di quanto durerà l’immunità vaccinale: anni? mesi? Lo sapremo solo con la pratica.
I vaccinati contro il Covid potranno ancora contagiare gli altri?
Devo premettere che i vaccini sono testati come efficaci a prevenire la malattia, piuttosto che l’infezione, ovvero lo sviluppo dei sintomi gravi, non il solo contagio. Detto ciò, ancora non abbiamo i sufficienti per escludere che la persona vaccinata e quindi asintomatica possa trasmettere il virus. Comunque non c’è problema, se tutti si vaccinano nessuno prende più la malattia, tutt’al più l’infezione senza sintomi o paucisintomatica. E naturalmente la circolazione del virus è drasticamente abbattuta.
Tra le paure della gente c’è una domanda cruciale: che cosa vuol dire che un vaccino funziona al 90%? Che cosa succede al rimanente 10%? Rischia la salute?
Assolutamente no. Prendiamo ad esempio lo studio Pfizer: dei 43mila sottoposti a sperimentazione (metà con un placebo e metà vaccinati) e poi esposti al rischio di infettarsi nella vita comune come tutti noi, nel gruppo placebo 94 si sono presi il Covid, solo 8 nel gruppo trattato con il vaccino. In definitiva con il vaccino si sono infettati il 90% in meno. E sia chiaro, quegli 8 si sono infettati nonostante, non a causa della vaccinazione.
Non teme che la tecnica dell’Rna messaggero, provata per la prima volta su un vaccino da Pfizer e Moderna, possa riservare brutte sorprese?
La scienza sviluppa tecnologie sicure e con premesse assolutamente tranquille, non dice “vediamo cosa accadrà”. Altrimenti anche AstraZeneca che usa come veicolo un virus degli scimpanzé dovrebbe farci paura? Chi ci dice che, essendo sconosciuto per l’uomo, una volta inattivato e inoculato non diventi aggressivo magari in un caso su un milione? Naturalmente sto dicendo un’assurdità. Sommate le due sperimentazioni, la tecnologia dell’Rna messaggero è stata testata su 73mila persone, ha superato il vaglio della ricerca, quindi è valida e non pericolosa. Che cosa potrebbe insorgere a distanza di 20 anni lo sa solo il Padre Eterno, ma come per tutti i farmaci: allora che fai, lasci morire di cancro le persone per paura di futuri improbabili effetti collaterali? Se mi chiedessero di farmi un vaccino a Rna messaggero per prevenire un raffreddore direi no, ma qui il rapporto rischio/benefici c’è tutto: ho visto come sono morti 130 miei pazienti di Covid e sarei stato molto felice se l’Rna messaggero fosse stato già a loro disposizione!
A proposito di malati oncologici, è vero che proprio la ricerca sul cancro ha dato una grande mano contro il Covid?
E’ dalla lotta al cancro che deriva questa raffinatissima tecnica ingegneristica con l’Rna messaggero: esistono oggi dei “vaccini” contro i tumori, che attraverso la stimolazione dell’immunità insegnano al nostro sistema immunitario ad aggredire le cellule tumorali, quindi il messaggio che viene veicolato è quello di un antigene del tumore: l’immunità impara a contrastare questo antigene e va ad aggredire le nostre cellule.
E’ vero che le persone in cura contro un tumore hanno avuto forme meno gravi di Covid rispetto agli altri?
Sì, nei soggetti immunodepressi il quadro clinico è risultato inaspettatamente meno violento. Si sente sempre dire che tra i più a rischio di infezione ci sono i malati oncologici, sembra una contraddizione ma non lo è: la famosa tempesta citochinica che si scatena nei Covid più gravi, ad esempio sotto forma di polmoniti, è causata dal nostro stesso organismo che cerca di difendersi dall’invasione del virus e per questo innesca una iper infiammazione. Ne consegue che i farmaci contro il cancro che danno immunosoppressione limitano la tempesta mortale. Come vede non c’è contraddizione: l’immunodepresso si contagia più facilmente nella fase iniziale, ma nella seconda fase è parzialmente più protetto proprio perché l’organismo è inerme. Tant’è che curiamo i pazienti Covid gravi anche con farmaci chemioterapici, che cioè distruggono l’immunità quando è eccessivamente espressa.
Dai vaccini ai farmaci: si parla molto di anticorpi monoclonali e di donazione di plasma iperimmune…
Esistono due strategie terapeutiche: la stimolazione di un’immunità attiva, prodotta cioè da te, e questa è la vaccinazione. E l’immunità passiva, cioè ti do direttamente gli anticorpi, non ti stimolo a crearli. In quest’ultimo tipo rientrano anticorpi monoclonali e plasma iperimmune. Il plasma iperimmune è tratto dai soggetti convalescenti, ma a oggi i dati non sono incoraggianti: secondo gli studi olandesi, cinesi e indiani riduce in alcuni casi i tempi di degenza ma non la mortalità, e in Italia lo si usa come terapia compassionevole, cioè nei casi estremi. Intorno agli anticorpi monoclonali c’è grande fervore: si parte dagli anticorpi presenti nel sangue dei pazienti con forte capacità di neutralizzare il virus e si cerca di riprodurli in vitro. E’ una strategia interessante che ha già dato risultati in altre patologie infettive, ad esempio l’Aids, ma è sperimentale e non è ancora entrata nella pratica clinica. Comunque sono terapie che sarebbero utili se utilizzate molto precocemente, perché agiscono solo nella prima fase, quella della replicazione del virus.
Grande fervore anche per i test veneti fai-da-te al posto dei tamponi, ma sono attendibili?
In generale tutti i test rapidi hanno una sensibilità molto ridotta rispetto ai tamponi molecolari, a volte anche al 50 o 60%. Per il singolo che deve sapere se è contagiato o no, quindi, hanno ben poco rilievo. Hanno un’utilità invece per test di massa e indagini epidemiologiche. Il tema è: meglio poter fare solo 100 tamponi veri, o ripiegare su 10mila test rapidi con attendibilità al 60%? Per necessità si sceglie la seconda opzione: avrò molti errori ma su 10mila test scoverò un gran numero di positivi che altrimenti sfuggirebbero. E’ chiaro che l’ottimo sarebbe poter fare 10mila veri tamponi, come in estremo Oriente. Ma la nostra è tutta un’altra storia.