Il copione del teatrino della politica è stato rispettato: un incontro fra Matteo Renzi e Angelino Alfano, quindi un appello concordato lanciato dal premier alla «più ampia convergenza possibile» per il bene dell’Italia su Sergio Mattarella. Il tutto peer giustificare un "ripensamento" di Ncd/Udc, forza centrista che fa parte però della maggioranza di governo. Serviva un pretesto per rimediare all’errore iniziale di metodo addebitato al premier, che non avrebbe concordato il nome del candidato, e questo è stato fornito (con la mediazione anche di Casini). Sono state poste così le basi per il 4° voto di stamani, che dovrebbe essere decisivo.A poche ore dal fatidico appuntamento, cambia ancora una volta lo scenario: non si ragiona più di franchi tiratori, ma solo degli strascichi che la partita del Quirinale lascerà sull’asse delle riforme con Forza Italia e, in generale, sullo stato di salute del centrodestra. Le difficoltà, a questo punto, sono tutte dei suoi due leader Berlusconi e Alfano. Soprattutto l’ex Cav., dopo il fallimento della trattativa quirinalizia, vede sempre più messa in discussione la sua leadership (e forse è proprio questo il punto da affrontare, una volta per tutte). Per lui diventa problematico tenere a bada tanto Raffaele Fitto, che trova sempre più ragioni nel chiedere l’azzeramento dei vertici del partito, quanto quei fedelissimi che vorrebbero vendicare subito lo "sgarbo" renziano sul piano delle riforme che, dalla prossima settimana, riprendono l’iter alla Camera. Se seguisse questa linea, però, vedrebbe compromesso quel ruolo di "padre costituente" assegnatogli dal Patto del Nazareno. La situazione più delicata, tuttavia, riguarda la nuova Area popolare. Che per tentare di dare una dignità alla sua posizione ha scelto di prolungare fino all’ultimo il suo travaglio, spostando l’attenzione anche sui chiarimenti necessari nella maggioranza. Un rimedio, questo, che rischia di essere peggiore del male.