Le operazioni di soccorso ieri da parte dei volontari di Open Arms
Sono giorni di dispersi, di naufragi, di provvidenziali soccorsi, di misteri, di preghiere per i morti, e di tanti sbarchi. Ma senza numeri certi. Grazie al tempo buono e al mare che sembra una tavola, si sono ripetute negli ultimi tre giorni le partenze da Tunisia e Libia, malgrado gli accordi rivendicati ogni giorno dal governo. E si parte anche dalla Cirenaica. Proprio dal territorio controllato dal generale Khalifa Haftar sarebbe partita una barca che nella notte di domenica ha contattato Alarm Phone. Poi silenzio. «Abbiamo perso i contatti con circa 50 persone che ieri sera hanno segnalato di essere alla deriva in mare. Il Jrcc Cairo non rivendica alcuna responsabilità per il caso. La cosiddetta Guardia costiera libica non risponde al telefono o riattacca». Ma sui numeri degli sbarchi regna l’incertezza. Secondo l’Unhcr nell’ultima settimana (5-11 agosto) sono 1.861 le persone arrivate sulle coste italiane. Il 49% partite dalla Libia, il 40% dalla Tunisia e il 10% dalla Turchia. Dati che però non corrispondono a quelli del “cruscotto statistico giornaliero” del Viminale, che per gli stessi giorni segnala 2.294 migranti sbarcati. E a questi vanno aggiunti i 273 salvati in 4 operazioni dalla Humanity 1, che ora dovrà raggiungere Genova, e i 65 soccorsi in 2 interventi dalla Life Support di Emergency, destinata a Ortona. Uno di loro, un minore non accompagnato, è stato evacuato con una motovedetta della Guardia costiera di Roccella Jonica, perché gravemente disidratato e in preda a crisi epilettiche.
La denuncia della Ong
Ieri mattina all'equipaggio della nave di soccorso non governativa Humanity 1 è stato chiesto di selezionare chi sarebbe sbarcato a Lampedusa tra i 270 sopravvissuti a bordo, salvati in mare nel Mediterraneo centrale domenica in quattro diversi soccorsi. E' stata Sos Humanity a spiegarlo, sottolineando che la Guardia costiera italiana ha trasferito sulla più grande delle Pelagie 70 migranti, mentre per gli altri 200 prosegue «al caldo sul ponte e contro la legge» il viaggio verso Genova, il porto assegnato dalle autorità italiane per lo sbarco, a 1.200 chilometri dal luogo del salvataggio. «Un viaggio che richiede più di quattro giorni - fa sapere l'equipaggio della nave umanitaria -. Siamo stati costretti a fare questa selezione senza avere le informazioni necessarie sulle persone salvate - critica Jörg Schmid, il medico volontario a bordo -. A causa del trattamento d'emergenza di un paziente gravemente malato il giorno prima fino a notte fonda, non abbiamo avuto nemmeno il tempo per un semplice screening medico dei sopravvissuti prima dello sbarco selettivo. È stato, quindi, impossibile per il nostro team di assistenza fare una selezione eticamente corretta».
Due naufragi scongiurati
Quando il veliero Astral di Open Arms è intervenuto ha trovato 55 persone, tra le quali 5 bambini e un neonato, che viaggiavano su una barca di metallo divisa in due parti legate insieme da corde e vecchi stracci. Venti persone erano già in acqua. Tutti i naufraghi sono stati recuperati e poi trasbordati su una motovedetta della Guardia Costiera. In tutto, a fine giornata sono state 316 le persone soccorse dal veliero della Ong, che ha fatto un bilancio degli ultimi tre giorni di navigazione: a bordo centinaia di persone provenienti da Palestina, Siria ed Egitto, partiti negli scorsi giorni dalla Libia.
Tra loro anche 6 donne, 4 bambini, 2 uomini molto anziani e un disabile. Sulla barca anche una persona che non ce l'ha fatta ed è morta prima del soccorso. Un’altra motovedetta ha invece soccorso un barchino di metallo di 7 metri già spezzato, facendo finire in mare 23 dei 59 migranti stipati sul natante. Da notare che in molti degli sbarchi sono ricomparsi i migranti subsahariani, fortemente calati in questi mesi. Ci sarà da capire se tentano di fuggire alle violenze in Tunisia o se è il governo di Tunisi a volersene liberare.
La rotta sarda e il piccolo Anas
Sabato notte uno sbarco anche in Sardegna. Un barchino di appena 7 metri approdato sulla spiaggia di Santa Margherita di Pula con una ventina di tunisini tra i quali una donna e due bambini di 7 e 9 anni. È la rotta dall’Algeria di cui non si parla mai ma che ha ugualmente drammi. Venerdì scorso a Lamezia Terme si è svolto un incontro di preghiera interreligiosa per il piccolo tunisino Anas, di soli 6 anni, vittima col papà del tragico naufragio del 5-6 febbraio. Una barca con 18 persone affondata mentre tentava di raggiunge la Sardegna. Il suo corpicino era stato portato dal mare fino alle coste calabresi, recuperato da alcuni pescatori e identificato grazie al Dna della mamma rimasta in Tunisia.
Tunisi, 9 arresti: è giallo
Dopo due giorni rimane il mistero sull’arresto, l’identità e la sorte di 9 persone, tra le quali una donna europea, accusate, secondo fonti ufficiali, di numerosi reati, tra cui il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Europa, la cospirazione contro la sicurezza dello Stato tunisino. Ma secondo altre fonti in realtà l’appartamento a Sousse dove sono stati arrestati fungeva da call center per la gestione dello status legale dei migranti irregolari. Oltre alla donna europea (fino ad ora nessun Paese ha dato notizie), ci sarebbe una donna di un paese vicino alla Tunisia, tre subsahariane e quattro tunisine. L’unica altra notizia filtrata è che i nove sarebbero stati trasferiti in un centro di detenzione delle “tigri nere”, unità speciale antiterrorismo tunisine tristemente note per violente operazioni di sgombero di migranti subsahariani poi abbandonati nel deserto libico o algerino. Un altro segnale inquietante dal Paese definito “sicuro” dal governo italiano.
Un Cpr a Porto Empedocle
A proposito di “Paesi sicuri” il governo sta accelerando i tempi per l’apertura del Centro di trattenimento per i rimpatri presso il Comune di Porto Empedocle, nell’Agrigentino, luogo dove già esiste un hotspot. La struttura è prevista dal cosiddetto “decreto Cutro” per accelerare le espulsioni verso i “Paesi sicuri”. Come segnala il giornalista Sergio Scandura di Radio Radicale, il governo ha avvertito a fine luglio sia il presidente della sezione immigrazione del Tribunale civile di Palermo, Francesco Micela, sia il presidente del Tribunale, Piergiorgio Morosini, che con due circolari hanno avvisato i colleghi di questo nuovo impegno su «una materia delicata per la natura dei diritti in questione». Ricordiamo che proprio su questa si è in attesa delle decisioni sia della Corte europea che della Cassazione, dopo varie disapplicazioni della norma da parte di alcuni magistrati. Non è chiaro dove sarà realizzato il centro e chi lo gestirà. L’hotspot è infatti affidato alla Croce rossa che per statuto non può gestire strutture detentive.