Più partecipazione dei Comuni all’operazione accoglienza e maggiori investimenti su personale e sicurezza da parte del governo. È quanto chiedono i sindaci già impegnati nei progetti Sprar per evitare altre rivolte annunciate, dopo il caso di Cona, nel Veneziano. A oggi, circa 5.200 centri su 8mila si tengono fuori dal perimetro dell’ospitalità, avendo deciso di non aderire su base volontaria ai bandi dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Due su tre, in pratica. «Eppure siamo di fronte a un fenomeno strutturale, non a un’emergenza.
Maggiore è la condivisione dei carichi sul territorio, maggiore è la possibilità di prevenire possibili tensioni sociali nelle singole comunità» osserva il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, che nella sua città ospita 450 profughi su una popolazione di 72mila persone. Una percentuale doppia rispetto al 2,5-3 per mille (tre migranti ogni mille abitanti) indicato dall’Anci e dal Viminale come livello ottimale. Buona è anche la solidarietà a livello provinciale, dove più di 50 centri su 115 si sono fatti carico di procedure di ospitalità per gli stranieri in arrivo. La novità è che i percorsi di integrazione si accompagnano sempre di più a interventi in materia di sicurezza. «Abbiamo aumentato il numero delle videocamere presenti in città, introdotto il controllo di vicinato coinvolgendo i cittadini nei quartieri – continua Galimberti –. È importante dare risposte in materia di ordine pubblico. Paradossalmente, in questo momento servono più forze di polizia e più mediatori culturali». Le stesse voci si raccolgono anche in altre zone d’Italia.
Ieri il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, ha chiesto un «incontro urgente» al ministro degli Interni, Marco Minniti. Nella città, peraltro, è situato uno dei due Cie regionali chiuso negli scorsi anni. «I Comuni stanno producendo uno sforzo straordinario – ha spiegato il primo cittadino emiliano –. Tuttavia ci pare giunto il momento di approfondire seriamente il tema dell’adeguatezza degli organici, del personale e dei mezzi, che molto probabilmente in termini quantitativi non corrispondono più alle esigenze di una realtà come Modena, che in pochi decenni è profondamente cambiata per la complessità e intensità dei fenomeni migratori». L’altro tema aperto dalla vicenda di Cona riguarda la capacità degli enti locali di affidare i progetti di ospitalità a soggetti del terzo settore in grado di garantire servizi all’altezza.
Il ruolo delle cooperative, ha osservato Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana, è «purtroppo la nota dolente. C’è bisogno di un monitoraggio costante dei soggetti che fanno accoglienza. Ci sono realtà, nella Chiesa e nella società civile, che stanno dando il loro contributo attivamente e positivamente da anni mentre altre piccole realtà non sono pronte e adeguatamente attrezzate per questa attività ». Ieri, peraltro, il Garante dei detenuti ha comunicato di voler estendere le proprie competenze anche ai Cpa, i Centri di prima accoglienza. Un grido d’allarme arriva dal presidente di Anci Veneto e sindaco di Mirano, Maria Rosa Pavanello. «Chiediamo tempistiche certe sul tempo di permanenza dei migranti e anche su un loro eventuale rimpatrio. La mancanza di queste informazioni sta frenando il sistema di accoglienza diffusa». Intanto ieri, in serata, il Viminale ha diffuso il numero complessivo degli arrivi registrati nel 2016: sono stati 181.436, il 18% in più rispetto al 2015.
Gli amministratori: giusta una maggiore condivisione. Arrivi: +18% nel 2016.
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