La situazione dei braccianti di Saluzzo si è fatta esplosiva a partire dal 2013, quando centinaia di migranti si sono accampati nella zona del Foro Boario. Negli anni, la Caritas locale ha allestito diversi campi nel tentativo di contenere una situazione ulteriormente peggiorata. I lavoratori vivevano accampati tra i rifiuti in una tendopoli subito ribattezzata Guantanamo. Nel 2018, i braccianti sono stati sistemati dal Comune nell’ex-caserma Filippi, trasformata in centro di accoglienza per 368 persone, con letti, servizi igienici, docce e attrezzature per cucinare. Fondamentale è stata la collaborazione tra istituzioni locali, sindacato, volontariato e Caritas, che ha permesso di mettere in piedi una rete di sostegno per questi lavoratori fragili.
Con l’arrivo dell’emergenza sanitaria, i migranti hanno vissuto un altro periodo di difficoltà, a causa della scarsità delle strutture di accoglienza, che hanno costretto molte persone a dormire all’aperto. E, ancora una volta, la Caritas è intervenuta per gestire la situazione.
Una delle tende in cui si sono sistemati i 150 braccianti "invisibili" di Saluzzo - .
L’emergenza annunciata è un uomo steso sul cartone che si copre la faccia per non essere fotografato. Come mi dice il mediatore culturale di origine africana della Flai Cgil di Cuneo, il sindacato dei lavoratori agricoli, non vuole che parenti e amici vedano la sua realtà di senza dimora, una sconfitta che non racconta sui social. È arrivato dieci giorni fa e dorme all’ingresso del supermercato low cost vicino al centro di Saluzzo, ai piedi del Monviso, secondo comparto ortofrutticolo nazionale con 13 mila lavoratori stagionali, di cui il 75% stranieri. L’annata si prannuncia buona, in questa zona, ottava in Italia per conti bancari e che prova a risollevarsi approfittando della crisi dell’area romagnola. Accanto un manifesto pubblicizza una svendita a pochi centesimi al chilo della frutta.
Paradossalmente il basso costo stabilito dalla grande distribuzione e dalla filiera è una delle cause della sua dignità negata. Le altre sono l’abolizione della protezione umanitaria da parte dei decreti sicurezza, la crisi economica da Covid e la sanatoria.
Cancellato il lavoro in rete per l’accoglienza fatto negli ultimi anni: in città ora ci sono 150 persone senza un posto dove dormire, ma potrebbero diventare 800 nel giro di un mese. Lo sforzo di Caritas e dei sindacati
Da giugno hanno scatenato infatti una caccia al lavoro e al contratto di persone cui scadrà il permesso tra poco, nell’illusione vana di potersi regolarizzare. Per i flussi interni non è previsto l’obbligo di accoglienza e così subiscono per disperazione la vita in strada, la ricerca continua di lavoro decine di chilometri in bici dopo una notte all’addiaccio, lo sfruttamento diffuso con una paga bassa e spesso in nero.
Anche se 5/6 euro l’ora per una media di dieci sono pur sempre il doppio di quanto si prende al Sud. L’uomo con la faccia coperta viene dal Senegal, ha 30 anni. Nel piazzale dormono 16 braccianti subsahariani come lui su un letto di cartoni. Soffrono per le serate fredde in questa anomala estate post Covid, pochi di loro hanno una coperta. Le hanno perdute nello sgombero del 2 luglio scorso del parco di Villa Aliberti, dove dormivano in 133 stranieri, ordinato dalla Questura di Cuneo. Nessuno di loro positivo al virus e 130 regolari divisi in quattro comuni.
Le operatrici dell’unità mobile del progetto Presidio della Caritas diocesana saluzzese passano a distribuirle ogni sera, ma non bastano. Stando ai dati forniti dal Comune i braccianti senza dimora sono circa 150, numeri ancora bassi in questo inizio della stagione. Gli altri arriveranno in massa da tutta Italia ad agosto, per raccogliere le mele. Per le quali sono arrivate 800 persone negli anni scorsi, accolte parzialmente dal comune in una ex caserma con 400 posti. Ma quest’anno la pandemia ne impedisce l’apertura. Da domani la prefettura cuneese attuerà un protocollo d’intesa sottoscritto da 9 comuni del distretto su 32 per avviare un’accoglienza diffusa, ma di soli 115 posti.
Sul piazzale emergono quindi le contraddizioni del momento, con una regolarizzazione nata per garantire protezione ai braccianti che per tempistica e modalità non va incontro alle esigenze dei datori e la pandemia che a Saluzzo ha cancellato il lavoro in rete per l’accoglienza degli ultimi anni. In auto ci spostiamo nella vicina Lagnasco, al cimitero. I container per l’accoglienza sono pronti, ma restano chiusi fino a nuovo ordine. Accanto, dietro al muro del cimitero, una trentina di 'invisibili' si sono accampati in una sorta di baracca sotto due tettoie accanto al cimitero.
A terra i loro poveri bagagli mentre alla parete sono appoggiate le bici, indispensabili per andare a cercare lavoro. Sono africani dell’ovest, maliani, senegalesi, gambiani. Il lavoro è ancora poco, dicono, non ci assumono. Oppure non sono contrattualizzati e non gli va di parlare troppo. «Molti – conferma Zeno Foderaro della Flai Cgil – sono nuovi arrivi. Sono trattati come problema di ordine e salute pubblica, ma sono prima di tutto lavoratori e qui ci sono troppe zone grigie. Il problema è la filiera. La grande distribuzione paga le Op, organizzazioni di produttori, a 60 giorni, mentre il contadino prende i soldi dalle Op dopo 300 giorni e non sa che retribuzione avrà. Quindi deve tenere basso il costo della manodopera ». I braccianti sono l’anello debole di questa catena di sfruttamento nel cuore del Nord. Nei campi sono arrivati i precari messi ai margini dal Covid, artigiani, lavoratori del commercio che aspettano ancora la cassa integrazione, giardinieri e persino buttafuori.
Precari per raccolte flessibili. Vengono da altre cittadine del Piemonte, dalla Lombardia e dalla Toscana. Come, Mamadou, maliano, elettricista fino a marzo. «Lo facevo in Libia, poi sono scappato con il barcone per la guerra e sono arrivato in Italia, a Biella. Ho la protezione umanitaria in scadenza, con la pandemia ho perso il lavoro».
Sindacato e datori chiedono subito una piattaforma per gestire i dati sul fabbisogno. «Perlomeno serve un centro per l’impiego funzionante. Lo Stato non dovrebbe chiudere gli occhi sull’accoglienza – spiega Mario Dotto della Coldiretti –. L’80% dei migranti che arrivava fino all’anno scorso restava per la stagione e trovava alloggio in azienda o in case con affitti garantiti dalle aziende. Non c’è obbligo normativo per i flussi interni e l’imprenditore non ha interesse a far dormire i lavoratori in terra. Ma quest’anno la percentuale dei senza dimora rischia di aumentare perché i nostri container aperti a Saluzzo e a Lagnasco gli anni scorsi sono chiusi per Covid. Poi per alcune colture c’è molta flessibilità, senza obblighi è difficile che un’azienda allestisca una struttura magari per 10 giorni. E poi la grande distribuzione impone i prezzi che gli agricoltori subiscono. Aspettano i soldi delle mele del 2019». ll tam tam che porta a Saluzzo tra poco si attiverà. Senza gli invisibili i consumatori pagherebbero molto di più la frutta al supermercato, dietro al prezzo basso c’è anche un letto di cartone e lo sfruttamento. Su questo non riflettiamo mai.
Il vescovo Cristiano Bodo: qui la Chiesa c'è
Una rete solidale che si sta ricostruendo. Saluzzo, nonostante le semplificazioni giornalistiche, non è Rosarno. C’è una sperimentata sinergia tra la Chiesa, i sindacati e le associazioni e sarà il processo "Momo", la cui prima udienza è slittata a fine settembre a Cuneo, a stabilire se c’è o no caporalato.
«A febbraio – spiega il vescovo Cristiano Bodo, 52 anni – abbiamo aperto casa Madre Teresa per accogliere migranti, anche braccianti, con problemi di salute oltre a famiglie in difficoltà. Abbiamo allestito alla Caritas diocesana una distribuzione di pasti e le docce per dare dignità a chi lavora sotto il sole. Lavoriamo con operatori e diversi volontari. Grazie ai medici cattolici per esempio offriamo assistenza sanitaria. E diamo bici su cauzione per chi va a lavorare o cerca e la sera la Caritas distribuisce le coperte». Inoltre c’è una grande risposta quando la Caritas chiede generi di prima necessità. «Saluzzo – conclude – ha una sperimentata collaborazione tra il mondo cattolico, i laici e le istituzioni». Che negli anni passati, a partire dalla gestione del campo dei braccianti al foro Boario si è rafforzata sul campo.
Virginia Sabbatini, coordinatrice diocesana del progetto Presidio della Caritas, ha vissuto molte stagioni di emergenza e sperava di non rivederle. «A Saluzzo – spiega Virginia – la pandemia ha fatto esplodere contraddizioni che in parte erano state risolte e ci siamo ritornati indietro di 10 anni. Nel 2009 tutto cominciò con la crisi, quando i lavoratori africani licenziati tornarono a lavorare nei campi. Oggi, come allora, arrivano subsahariani con reti più fragili. Abbiamo paventato il rischio di emergenza in una lettera a Prefettura e Regione, ma non sono arrivate risposte. Servono interventi a livelli più alti del Comune».
Politicamente vuole risposte sistematiche il sindaco saluzzese Mauro Calderoni. «Il Covid ha complicato la situazione. Il problema è che i flussi interni non sono programmati per legge. Se arrivassero mille persone non sapremmo che fare. Senza una piattaforma di incrocio di domanda e offerta obbligatoria e una legge che preveda strutture di accoglienza per i temporanei non ne usciamo. Inoltre la Regione non sta facendo quanto previsto dal decreto Rilancio, l’onere sta ricadendo sui comuni che mettono gli immobili, ma non possono fare di più».