Neville Gafà, il mediatore maltese ha ammesso di avere negoziato già tre anni fa con Tripoli un accordo segreto per il respingimento dei migranti
Mentre a Malta si allarga lo scandalo per i respingimenti segreti di migranti, dalla Libia continuano le partenze. Un barcone in legno con 67 persone è stato soccorso sabato mattina al limite delle acque territoriali, 12 miglia a sud di Lampedusa. E lunedì è previsto lo sbarco a Palermo dei 183 migranti confinati a bordo della nave quarantena Rubattino. Altri barconi vengono segnalati nel Canale di Sicilia di cui almeno uno con 90 persone in area di ricerca e soccorso maltese,
"Un’imbarcazione in pericolo con circa 90 persone a bordo nella SAR maltese ha appena contattato Alarmphone. Abbiamo allertato le autorità perché si attivino per un salvataggio immediato senza ritardi", si legge in un tweet trasmesso alle 22.45 dall'organizzazione che raccoglie le richieste di aiuto. Il timore è che possa ripetersi un nuovo respingimento illegale verso la Libia, come già avvenuto con la "Strage di Pasquetta": 12 morti e 51 superstiti.
Intanto al largo del capoluogo siciliano per il gruppo soccorso dalla Alan Kurdi quasi tre settimane fa il periodo di isolamento sanitario si è concluso, mentre nei prossimi giorni si sarebbe chiuso il periodo di vigilanza medica per i naufraghi soccorsi dalla Aita Mari. Assistiti dal personale della Croce Rossa, i 183 lasceranno dunque il traghetto della Tirrenia e metteranno piede sulla terraferma. Tutti sono risultati negativi anche al secondo tampone.L’ora dello sbarco non è ancora stata stabilita. Fino all’ultimo ci sarebbe stato il tentativo di prolungare la permanenza, ma gli operatori umanitari coinvolti insistono per lo sbarco, tanto più che nessuno è stato colpito dal Covid e non vi è ragione per prolungare la quarantena.
Al momento non si ha notizia di una eventuale redistribuzione degli stranieri in altri Paesi europei. Tra loro si contano 2 donne e 44 minori non accompagnati. Dal momento in cui tutti sbarcheranno, non è chiaro se la Rubattino tornerà a svolgere attività di quarantena o l’iniziativa straordinaria del governo, verrà archiviata.
Dalla Libia continuano ad arrivare cattive notizie. Il ritorno in campo di alcuni capi milizia ritenuti tra i più noti trafficanti di uomini, petrolio e armi, sta di nuovo generando instabilità. Nei giorni scorsi i miliziani di al Nasr, guidati tra gli altri dal comandante della guardia costiera di Zawyah Abdurhaman al Milad, conosciuto come Bija, hanno guadagnato terreno negli scontri contro il generale Haftar. La liberazione di centinaia di detenuti da alcune prigioni, ha riportato per le strade di Zuara Ahmed al–Dabbashi, detto Ammu, a capo di una delle fazioni più potenti e in passato indicato come protagonista dei negoziati del 2017 con l’Italia per fermare le rotte verso il Canale di Sicilia.
L’intensificarsi delle partenze nelle ultime settimane, tra cui un gran numero di bengalesi che da anni lavoravano in Libia, è un pessimo segnale. I 67 salvati ieri a Lampedusa, in maggioranza sono asiatici, coem anche i migranti che sbarcheranno dalla Rubattino. Alla vista delle motovedette alcuni si sono tuffati per raggiungere i soccorritori. Altri 9 sono arrivati sull’isola delle Pelagie autonomamente con un barchino a motore.
E grazie alle inchieste giornalistiche è oramai a tutti noto che da tre anni Malta operava dei respingimenti, vietati dal diritto internazionale, appoggiandosi a una flottiglia di imbarcazioni private. Il New York Times ha rilanciato venerdì l’inchiesta di Avvenire, trovando nuove conferme all’esistenza di una “flotta fantasma”.
A La Valletta l’inchiesta sulle responsabilità politiche e militari procede a singhiozzo. Il premier laburista Robert Abela, cercando di smentire il mediatore maltese Neville Gafà, che si è assunto la responsabilità dei respingimenti di questi tre anni per conti de La Valletta, ha dichiarato che Gafà «non ha coordinato l’ultimo intervento (quello conclusosi con 12 morti, ndr) ma è stato incaricato di facilitare lo sbarco a Tripoli grazie ai suoi contatti». Dunque il respingimento, che Abela si rifiuta di definire come tale, è avvenuto su ordine del primo ministro, che deve rispondere dell’accusa di omissione di soccorso e della morte dei profughi eritrei.
Dalle Nazioni Unite arriva la netta condanna di questa pratica. «Il salvataggio in mare è un imperativo umanitario ed un obbligo del diritto internazionale», si legge in una nota di Gilian Triggs, assistente dell’Alto Commissario per la protezione dell’Unhcr–Acnur su ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. «Ritardi nei soccorsi o impedimenti agli sbarchi di imbarcazioni in difficoltà mettono a rischio le vite delle persone». E se per un verso occorre «condividere la responsabilità tra gli Stati per l’accoglienza delle persone», per l’altro «nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso in mare».