I profughi di guerra davanti alla stazione ferroviaria di Leopoli - Gambassi
È un fumo che odora di foresta quello che esce dal grande comignolo del Seminario greco-cattolico di Leopoli. «Grazie al cielo il nostro riscaldamento è a legna», sospira il rettore, padre Igor Boyko. Cataste di tronchi sono accumulate in un hangar accanto alla palazzina delle caldaie che alimenta decine di camere, la chiesa, un teatro, gli impianti sportivi. Una vera e propria cittadella dove vivono e studiano centocinquanta seminaristi e che è già pronta a tornare ad aprire le porte agli sfollati. Perché Leopoli, con tutta la sua oblast, attende una nuova ondata di profughi dall’Est dell’Ucraina. In fuga dal “generale inverno” con cui Putin vorrebbe mettere in ginocchio il Paese.
Il Seminario greco-cattolico di Leopoli, pronto ad accogliere nuovi profughi - Gambassi
Oggi i missili russi colpiscono prima di tutto i poli energetici: centrali elettriche, snodi del gas, reti di distribuzione. Per lasciare al ghiaccio un popolo. È successo anche in questi giorni con la pioggia di razzi lanciati su input di Mosca. Dieci milioni di ucraini sono alla prese con i black-out: impossibile anche solo cucinare. Il 40% delle infrastrutture energetiche è danneggiato, ma «vengono ripristinate a tempo di record come è accaduto qui a Leopoli dove siamo rimasti senza corrente e acqua soltanto per quarantotto ore», assicura il sindaco Andrij Sedovy. Ma se nei territori devastati dai bombardamenti, dove magari si vive in case sventrate e poi riparate in qualche modo, venissero a mancare per giorni elettricità e gas, l’esodo sarebbe inevitabile quando il termometro scenderà a venti gradi sotto zero. Vale anche per le grandi città dove diventa difficile rimane senza poter contare sull’elettricità. «La nostra legna ci rende autosufficienti. Per questo siamo in grado di accogliere fino a duecento persone fra la palestra e i saloni – dice padre Boyko –. È la solidarietà la nostra risposta a Mosca e la via che ci permetterà di affrontare i prossimi mesi che si annunciano difficili».
Un centro di accoglienza per i profughi allestito dall'arcidiocesi latina di Leopoli - Gambassi
Per la regione di Leopoli, dove è caduta già la neve, è una nuova sfida. «Abbiamo offerto assistenza a cinque milioni di rifugiati nelle prime settimane del conflitto – racconta Stepan Kuybida, responsabile del dipartimento economico dell’amministrazione militare –. E in 700mila si sono fermati qui, in un’oblast che conta due milioni e mezzo di abitanti. Siamo il fulcro nazionale per l’emergenza sfollati e per lo smistamento delle merci. Adesso abbiamo già individuato duecento edifici che, con interventi minimi, possono ospitare in pieno inverno chi è arrivato o arriverà». Anche i dormitori universitari saranno “case” provvisorie.
«Punta sul gelo Putin per far fuggire la nostra gente e svuotare le terre ucraine», sostiene Andriy Kulchynskyi, sindaco di Truskavets. È la “Chianciano Terme” della regione, rinomata per le sue sorgenti minerali, che fino al 2014, ossia prima dello scoppio delle tensioni in Donbass, era una meta turistica russa. Oggi i suoi 20mila abitanti hanno al loro fianco 15mila sfollati. « È vero che la città è satura ma ci stiamo strutturando per fronteggiare la nuova crisi». E spiega: «Trasformeremo le strutture ricettive in poli di prima accoglienza. Certo, se aumenteranno ancora i profughi, serviranno generatori di elettricità per riscaldare i nuovi centri. Abbiamo chiesto aiuto alla Polonia». Naturale, visto che il confine è a settanta chilometri ed è lo Stato-ponte per i rifornimenti all’Ucraina. L’amministrazione locale ha firmato i Patti di azione nonviolenta fra sindaci italiani e ucraini, promossi dai “pacificatori” del Mean. «Abbiamo bisogno del sostegno dell’Europa. E l’Italia è un modello di attenzione alle nostre necessità e alla nostra tragedia», aggiunge Kulchynskyi.
I mercati di poveri lungo le strade di Leopoli - Gambassi
Strategia simile nel Comune di Leopoli. «Ci sono già 6mila punti di rifugio e li abbiamo resi autonomi dalla rete elettrica. Con la mobilitazione collettiva supereremo anche questa prova», fa sapere il sindaco. Sono per lo più poveri, anziani e mamme con figli piccoli i 150mila sfollati ancora presenti, che sopravvivono fra mille difficoltà. Accade ad esempio nelle quattro città-container allestite nei parchi del capoluogo: ognuna conta fino a duecento persone. Tuttavia i prefabbricati non hanno isolamento termico. La stazione ferroviaria rimane un crocevia “migratorio”. Non certo con la carica ai treni e agli autobus dello scorso marzo, appena dopo l’inizio dell’aggressione russa. Ma si continua ad abbandonare l’Ucraina. I pullman, che a decine partono ogni giorno per la Polonia, la Germania, l’Italia, persino il Portogallo, sono pieni. E sembra quasi una risposta anticipata all’appello appena lanciato dalle società elettriche ucraine di lasciare il Paese per ridurre la domanda di energia. Eppure c’è anche chi ha scelto di tornare. Dall’estero, anzitutto. Però negli ultimi giorni i rientri sono in calo. «Il timore di una stagione senza riscaldamento è un freno», osserva il rettore. E c’è chi lascia Leopoli per ritraslocare sotto le bombe. «Ho finito i risparmi. Non riesco a trovare un lavoro. Vorrei restare qui al sicuro, ma come faccio?», sussurra Alina, con un passato da fioraia. Trascina a fatica la valigia dove ha stipato tutto quanto le è rimasto e che porterà fino al binario da cui prenderà l’Intercity per Ivano-Frankivsk.
Un centro di accoglienza per i profughi allestito dall'arcidiocesi latina di Leopoli - Gambassi
«Nella regione di Leopoli non si sono trasferiti solo i rifugiati ma anche le aziende: sono più di 220 per un totale di 5mila nuove assunzioni», afferma il referente dell’amministrazione militare. L’ottimismo politico stride con l’asprezza del quotidiano. Lungo i marciapiedi i piccoli mercati clandestini diventano un salvagente per mettere insieme qualche spicciolo. E i “pacchi viveri” sono per molti la sola spesa di famiglia. Con centinaia di volti in coda davanti ai luoghi di distribuzione targati parrocchie e Caritas. «Si diventa preti anche imparando a farsi prossimi a chi è nel bisogno – conclude il rettore –. Ecco perché abbiamo deciso che i seminaristi si dedichino ai rifugiati. E, com’è successo nei primi mesi del conflitto, torneranno anche per strada se Leopoli sarà presa d’assalto da quanti devono lasciare le loro case. La resistenza ucraina è anche questa».