Le unioni civili arrivano a destinazione nel rispetto dei programmi. «La legge sulle unioni civili inizia ad avere pieno vigore», sancisce il ministro Andrea Orlando. Su sua proposta, in attuazione della legge approvata lo scorso 20 maggio il governo ha varato ieri tre decreti legislativi attuativi per i quali la norma fissava il termine di 6 mesi. Un primo si occupa della «modifica e riordino delle norme di diritto internazionale» per adeguarle al nuovo istituto; un altro si occupa delle «norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni», nonché di «modifiche ed integrazioni normative» con leggi, regolamenti e decreti già in vigore; infine l’ultimo si occupa di «disposizioni di coordinamento in materia penale».
Un’opera di vero e proprio setacciamento dentro tutte le disposizioni normative, o anche solo regolamentari, per rinvenire tutte le previsioni applicate al matrimonio onde estenderle, il più delle volte con un mero tratto di congiunzione, anche alla nuova disciplina (che, come è noto, esclude la possibilità di adozione per le coppie gay, pur lasciando aperta, come si è visto, la soluzione giurisprudenziale caso per caso). E questo nonostante l’articolo 1 della legge faccia riferimento, nel dar vita alle unioni civili, alle formazioni sociali e non all’articolo 29 della Costituzione che si occupa di famiglia.
Particolarmente rilevante nei nuovi testi è la parte che si occupa delle implicazioni con il diritto internazionale, tema oggetto negli anni scorsi di numerosi contenziosi che hanno coinvolto anche alcune amministrazioni comunali. Si stabilisce che il matrimonio contratto all’estero da cittadini dello stesso sesso produce nel nostro Paese «gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana». Viene anche stabilito, con una certa genericità, che «l’unione civile, o altro istituto analogo costituito all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso abitualmente residenti in Italia produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana». Viene poi trattato a parte, nella relazione di accompagnamento del governo, il caso di cittadini italiani «abitualmente residenti all’estero», per sancire il «carattere intrinsecamente transnazionale del rapporto», e per stabilire che - in questi casi - «una soluzione rigidamente volta ad imporre comunque la disciplina italiana apparirebbe ingiustificata in relazione all’articolo 3 della Costituzione - che si occupa dell’uguaglianza dei cittadini, ndr - e potrebbe costituire un ostacolo alla libera circolazione nell’ambito dell’Unione europea».
Disposizioni che, come si vede, sembrano aprire a ulteriori indebolimenti, anche per via giurisprudenziale, dei flebili aspetti distintivi dalla disciplina del matrimonio. Viene rimossa anche la difficoltà nell’ottenere il necessario nulla osta da parte dei cittadini stranieri provenienti da Stati che non riconoscono la possibilità di unione fra persone dello stesso sesso. In tal caso, infatti la "libertà di stato", per attestare che non vi sono unioni precedenti, può essere sostanzialmente autocertificata, sì da rendere possibile la celebrazione dell’unione nel nostro Paese.
Nell’altro decreto, relativo alle norme sullo stato civile, c’è un elenco innumerevole di casi in cui si stabilisce ciò che è previsto nel matrimonio per i coniugi valga anche per i partner delle unioni, in gran parte volte a modificare il decreto di riforma della materia, il 396 del 2000. Di particolare rilievo la disposizione sui cognomi che, nel dare attuazione alla norma delle Unioni civili che prevede la possibilità di adottare un cognome comune in aggiunta al proprio, dispone che non vi siano comunque modifiche anagrafiche, in quanto altrimenti - spiega la relazione di accompagnamento - si determinerebbe «una vera e propria variazione anagrafica anche del cognome del figlio del partner», a conferma che la problematica della stepchild adoption, esclusa dalla normativa, in concreto ne resta parte.
Soddisfatta Monica Cirinnà, firmataria del progetto originario: «Chiariti tutti i punti critici». Le associazioni Lgbt, piuttosto prudenti al varo della legge, ora parlano apertamente di «vittoria», di «passo storico», da Arcigay a Equality Italia, da Arcilesbica a Gaynet. Solo l’associazione Luca Coscioni resta prudente e parla di «primo passo». Soddisfazione nel Pd. Il ministro Anna Finocchiaro parla di «legge di civiltà». Per Ncd - nel quale resta critico Maurizio Sacconi - Laura Bianconi rivendica che «sono state impedite le nozze gay e l’utero in affitto». Ma Alessandro Pagano, ex del partito di Alfano passato alla Lega, ironizza: «Ecco le priorità del governo». Ed è duro il presidente del Comitato "Difendiamo i Nostri Figli" Massimo Gandolfini che parla di «ulteriore passo verso la completa equiparazione al matrimonio».
Chiuso nei tempi previsti l’iter legislativo delle unioni civili. Nuovi rischi sui cognomi e sulle "nozze" contratte
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