Alla vigilia della Festa della Liberazione, su iniziativa della Fondazione De Gasperi, al cimitero del Verano è stato reso omaggio al monumento funebre dello statista democristiano. Una cerimonia semplice, che ci consente di ricordare oggi – nel pieno di una polemica altamente divisiva – che fu lui, con regio decreto del 22 aprile 1946, da primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata, a formalizzare la proposta di istituire la festa del 25 aprile, e da quale spirito fosse animato. Il presidente della Fondazione Angelino Alfano ha citato l’intervento di De Gasperi al congresso del comandanti partigiani: «Si devono lasciare cadere i risentimenti e l’odio.
Si deve perdonare», disse. Un auspicio che risuona ancora come inascoltato. L’Italia era in ginocchio e cercava di ripartire con una festa di riconciliazione nazionale. L’eccidio vile e brutale di Giacomo Matteotti, la sostanziale solitudine in cui si era venuto a trovare ci ricordano quante connivenze e iniziali sottovalutazioni permisero al fascismo di insediarsi e diventare dittatura. De Gasperi stesso aveva da farsi perdonare il sostegno che aveva dato al primo governo Mussolini, mai pentitosene abbastanza, motivo di una temporanea rottura con don Sturzo, costretto all’esilio. Si era ancora nella Monarchia, l’assemblea Costituente sarebbe stata eletta due mesi dopo e il 13 marzo 1947 Aldo Moro vi tenne un celebre intervento, sancendo a conclusione dei lavori il carattere marcatamente “antifascista” della Costituzione.
La destra non era presente in Costituente, il Movimento sociale italiano fu fondato dopo, in contemporanea, quasi in alternativa. Vi aderirono ex fascisti ed ex repubblichini che, in misura anche maggiore rispetto agli ex partigiani comunisti, avevano usufruito dell’amnistia Togliatti, provvedimento spesso criticato, finalizzato in realtà a tirare una linea sul passato e avviare su nuove basi la storia repubblicana. Ma a destra questa riconciliazione con la Repubblica italiana non avvenne. Ancora negli anni Settanta Giorgio Almirante sostenne con franchezza e coerenza degne di miglior causa che, se si fossero ripresentate le condizioni, avrebbe rifatto le stesse cose. Ed è noto che esponenti legati o vicini al suo partito tramarono nell’ombra proprio perché quelle condizioni si potessero ripresentare. La storia più recente ci porta alla svolta di Fiuggi, al fascismo proclamato “male assoluto” da Gianfranco Fini, mentre un gruppo di ex dirigenti del Msi e di esponenti più giovani, considerando quella scelta come il “tradimento” di una storia, volle salvare il vecchio simbolo della fiamma tricolore. Che ancora campeggia, in piccolo e in basso, nel simbolo depositato da Fratelli d’Italia per le Europee.
La destra alla guida del governo per la prima volta poteva essere l’occasione per una vera riconciliazione con la Costituzione; invece è in corso un altro processo, con tutta la sua portata divisiva, volto a riformare la Carta in profondità, mentre a destra rimane quel tabù del suo carattere antifascista. Ed è un peccato, perché anche intuizioni eccellenti come il Nuovo piano Mattei per l’Africa, senza fare i conti con la storia, stentano a diventare fattore unificante e di orgoglio dell’intera nazione. Mentre gioverebbe a tutti ricordare, magari il 25 aprile, da quale storia veniva e di quale cultura politica era portatore il fondatore dell’Eni, che fu capo partigiano cattolico, legato a un grande ministro Dc quale Giovanni Marcora, portatore in Africa di una cultura italiana non colonialista e non nazionalista, in piena discontinuità con una storia politica che nel Ventennio aveva evocato l’esatto contrario.