lunedì 11 febbraio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
​Guardo indietro, a questi novant’anni trascorsi, e quasi non mi sembra vero. Non mi sembra vero di aver lavorato così tanto. Non mi sembra vero di aver raccolto così tanti successi. E non mi sembra vero di essere riuscito ad affrontare a testa alta anche gli insuccessi.
 
Perché quando gli applausi e i consensi non ci sono stati non mi sono arreso, ma mi sono messo a lavorare con maggior impegno e con ancora più determinazione. Sempre sostenuto dalla fede, quella che ho ricevuto da piccolo, che, ne sono convinto, è il più grande dono che l’uomo abbia tra le mani e che trascurarlo sarebbe uno spreco: i mali della nostra società, ne sono certo, affondano anche qui le loro radici. Una fede alla quale mi sono aggrappato nei momenti difficili, da peccatore certo, ma soprattutto da uomo che ha sempre riposto la fiducia nel Signore. Anche per questo penso che il mio "capolavoro" resti il Gesù di Nazareth.
 
E anche ora, che mi sposto su una sedia a rotelle, vivo l’inevitabile sofferenza nello spirito evangelico dell’affidamento, del saperci figli di un Dio che ci ama, ci ammonisce, ci sprona. Tutti i dolori e i drammi che ho vissuto nella mia vita – penso solo a quante persone care ho dovuto accompagnare nell’ultimo viaggio – li ho vissuti in questa dimensione della speranza. Me lo hanno insegnato le figure che ho incontrato sulla mia strada.
 
Quando era arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, da sempre vicino agli artisti, frequentava il Teatro alla Scala capendo la forza della musica e confortandoci con le sue parole. E da ragazzo a Firenze ero assiduo frequentatore del convento di San Marco dove ho potuto fare mio l’esempio di Giorgio La Pira, un uomo libero che mi ha insegnato a mettere sempre al centro l’uomo. Una lezione che ho tratto anche da figure come quella di Giovanni XXIII e di Madre Teresa di Calcutta.
 
Anche per questo, senza sbandierarlo ai quattro venti, nella mia vita ho aiutato molte persone, cercando di salvarle dalla miseria e dalla fame, senza chiedere nulla in cambio. Aiutare gli altri è sempre stato il mio modo per condividere la fortuna che ho avuto nella vita. Certo, da piccolo ho dovuto lottare e non poco, cresciuto da una zia perché ho perso la mamma quando avevo solo sette anni.
 
Devo dire grazie a lei anche per avermi trasmesso l’amore per l’opera lirica, alle tante persone che mi sono state vicine rendendo migliore la mia vita e impedendomi di fare grandi errori, ai tanti amici che ho avuto, nel mondo dello spettacolo, ma anche amici comuni: certo, alcuni mi hanno tradito e questo mi ha fatto soffrire, ma ho perdonato. Non sarei diventato Franco Zeffirelli se non avessi incontrato Luchino Visconti, ma nemmeno senza Maria Callas, donna unica che porto ancora nel cuore e che ho voluto raccontare al cinema con un film che già nel titolo è una dichiarazione d’amore Callas forever.
 
Sono sempre appassionato nelle mie lotte civili, dalla militanza partigiana sino all’impegno politico con il centrodestra. E non ho mai mancato di essere severo nei miei giudizi nei confronti di colleghi artisti, aspetto del mio carattere che mi ha attirato profonde ire. Ma devo dire che spesso, chi avevo bacchettato, è tornato a ringraziarmi. Il 12 febbraio festeggerò il mio novantesimo compleanno lavorando.
 
Film non ne faccio più, non reggerei i ritmi estenuanti del set. Penso all’opera lirica, preparo la ripresa alla Scala della mia Aida, spettacolo che a settembre andrà anche in tournée in Giappone. Ma il lavoro che ho più a cuore in questo momento è quello per realizzare il sogno di una vita, la Fondazione Franco Zeffirelli. Finalmente, in accordo con il Comune di Firenze, abbiamo individuato la sede in un palazzo in piazza Savonarola che accoglierà la mia biblioteca e il mio archivio che comprende i miei disegni di bambino e i bozzetti per la Scala e il Met.
 
Realizzeremo un museo delle arti e dello spettacolo dove saranno allestite mostre. E apriremo una scuola di specializzazione per giovani artisti dove ci saranno corsi per scenografi e costumisti e dove terrò corsi di recitazione per i cantanti lirici. Spenderò qui gli ultimi anni. Metterò a frutto in questo impegno quello che ho imparato nella vita. Sarà la mia eredità.
(testo raccolto da Pierachille Dolfini)
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: