Torino ieri sera i riflettori si sono accesi su Krzysztof Zanussi. Il celebre regista polacco (classe 1939) era al cinema Massimo per ricevere l’omaggio del Prix Italia: sono stati riproposti due suoi lavori,
Il potere del male, del 1985, e
Persona non grata, del 2005. Prima di quest’ultima proiezione – dopo un saluto di Giovanna Milella, segretario generale del Prix Italia, e un’introduzione di Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema torinese e della Mostra di Venezia – Zanussi ha pronunciato la sua
lectio magistralis sul tema “Identità europea al tempo di internet”. «Nella vita di un artista attivo – così Zanussi ha cominciato il suo intervento – ci sono due fasi: il lavoro fatto, nel mio caso, tra cinema e tv, più di quaranta film, e i progetti sepolti. Tra questi, avevo intenzione di fare un documentario quasi scientifico sul perché, tra persone di sesso opposto, scatti la scintilla dell’innamoramento. Ebbene: internet, più e meglio di un’agenzia matrimoniale, è un mezzo che faciliterà sempre più i nostri incontri futuri (non necessariamente al solo scopo del matrimonio, s’intende). Tramite internet cerchiamo chi è a noi simile, per interesse, passione, istruzione. Nel passato, in quello della mia gioventù, dovevo limitarmi alla mia zona, alla mia città alla mia valle. Tramite internet, invece, posso scoprire, con sorpresa, che possono esserci persone ad esempio in Alaska molto interessate ai miei film». Ma se la Rete ci porta il mondo così vicino, allo stesso modo ci rende consapevoli che le persone, le culture possono essere diverse dalle nostre. «La gente pensa in modo culturalmente diverso, ci dice internet – prosegue Zanussi – e questo è uno shock. Per limitare la mia analisi, l’arte narrativa (il romanzo, il cinema, la tv), quella che conosco meglio, è un’esemplificazione di questa diversità. Perciò bisognerebbe che ognuno si spingesse ad afferrare le differenze, per attenuarle. Con gli studenti indiani, a cui insegno cinema, vedo ad esempio che noi europei esponiamo, enfatizziamo il lato drammatico del racconto, loro tendono a riportarlo per allusioni». C’è poi l’imperialismo culturale, ha continuato ancora il regista, Hollywood contro Bollywood, che tende a livellare, verso il basso, quello che in origine non era. E questo sarebbe da evitare. Perché in soggetti di film coreani o del Kazakistan possono, miracolosamente, saltare fuori delle storie mosse da un codice d’onore che potremmo ritrovare in Corneille. L’arte narrativa, per essere davvero bella, e non scivolare nel facile kitsch, dovrebbe poi assorbire le esperienze del passato e farne tesoro: questo, secondo Zanussi, è il fascino di Shakespeare e dei nostri classici. La memoria del passato si fa dunque saggezza per essere, di conseguenza, necessaria per il progresso delle persone. Proprio "questa" è l’arte narrativa a cui pensa Zanussi: quella che è la vaccinazione che genera gli anticorpi contro ogni deriva della società. Infine l’arte, «quella alta», quella che può veicolare internet, è quella che si nutre della fantasia e della realtà, rifuggendo ogni tentazione all’autoreferenzialità, perché altrimenti sarebbe sterile. Per essere tentata dal mistero, per puntare a qualcosa che «non devo necessariamente spiegare e anche qualcosa che non capisco: ogni spiegazione uccide l’arte». Un vero artista non può e non deve insegnare, ha ancora aggiunto il cineasta, per concludere: «Oggi, in questa crisi economica perdurante, dovremmo forse occuparci della crescita culturale e spirituale dell’umanità, più che della crescita dei consumi. Nonostante tutte le difficolta, è forse il momento migliore».