mercoledì 12 agosto 2009
Un mix di azione e contemplazione, per gustare le bellezze della natura: i soggiorni in Valle d’Aosta di un turista molto speciale. Raccontati dal vescovo di Sanremo-Ventimiglia, che all’epoca era il sacerdote incaricato di organizzare le sue vacanze.
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Infaticabile camminatore. Pronto a cogliere le bellezze della natura in ogni loro sfumatura, dal fascino di un ghiacciaio al rumore di un ruscello fino al profumo dei prati. Con lo sguardo proteso verso l’alto e la mente immersa nella contemplazione del Mistero che si manifesta nella realtà. Chi camminava con lui faceva esperienza concreta di quanto la montagna sia maestra di vita. Così viene descritto Giovanni Paolo II da uno che ha camminato al suo fianco in molte occasioni durante le vacanze trascorse in Valle d’Aosta. Alberto Maria Careggio, che dal 2004 è vescovo di Ventimiglia-Sanremo, all’epoca era il sacerdote incaricato di curare l’organizzazione dei soggiorni papali nella regione. Un’esperienza che è rimasta indelebilmente impressa nella sua memoria di uomo e di appassionato di montagna.   Partenza di buon mattino, silenzio assoluto per almeno mezz’ora, dedicato alla preghiera e alla meditazione, col Papa che sgranava la corona del rosario tra le mani. E poi su, sempre più su, senza soste, fino alla meta: un rifugio, una cima, un punto panoramico. «Papa Wojtyla era una sintesi vivente di azione e contemplazione – ricorda monsignor Careggio –. La fatica non lo impensieriva, abbiamo fatto gite che sono durate anche dieci ore. Anzi, più di una volta ci chiese di prolungare l’itinerario che era stato programmato per raggiungere un luogo che l’aveva colpito durante l’ascensione: ’Possiamo salire fin lassù?’. Quando s’incontrava qualcosa di affascinante non usava espressioni banali (’che bello…’): ti fissava negli occhi con quel suo sguardo profondo e luminoso, poi ti invitava a guardare insieme a lui. Camminando al suo fianco c’era sempre molto da imparare: era un maestro della montagna». Il rapporto di Wojtyla con le terre alte risale agli anni della sua giovinezza quando, appena ordinato sacerdote, in Polonia accompagnava gli studenti universitari sui Tatra. È nota la sua passione per lo sci e per l’esercizio fisico, che ne aveva fatto il simbolo di una "corporeità" senza precedenti ai vertici della Chiesa. E sull’argomento è intervenuto più volte, con parole da cui trapelava la sua grande passione. Dopo avere recitato l’Angelus l’11 luglio 1999, in occasione del suo settimo soggiorno nella Vallée, Giovanni Paolo II pronunciò alcune frasi che dovrebbero sempre accompagnare i turisti che trascorrono le vacanze in quota, perché suggeriscono in maniera semplice e profonda lo "sguardo" da avere quando si ha la fortuna di gustare le bellezze della natura: «Ogni volta che ho la possibilità di recarmi in montagna e di contemplare questi paesaggi, ringrazio Dio per la maestosa bellezza del creato. Lo ringrazio per la sua stessa Bellezza, di cui il cosmo è come un riflesso, capace di affascinare gli uomini e attirarli alla grandezza del Creatore. La montagna, in particolare, non solo costituisce un magnifico scenario da contemplare, ma quasi una scuola di vita. In essa si impara a faticare per raggiungere una meta, ad aiutarsi a vicenda nei momenti di difficoltà, a gustare insieme il silenzio, a riconoscere la propria piccolezza in un ambiente maestoso». Preghiera, contemplazione, silenzio, fatica. Ma anche il piacere della musica e del canto, commenta Careggio, che anni fa ha fissato i suoi ricordi nel libro "L’uomo delle alte vette": «Un giorno, dopo avere mangiato in una radura sulla via del ritorno da un’escursione, il Santo Padre andò a riposare sotto una tenda che era stata preparata per lui. Insieme agli uomini della vigilanza pontificia abbiamo intonato alcuni canti di montagna. Si avvicina Camillo Cibin, responsabile della vigilanza, e ci chiede di abbassare il tono della voce ’perché Sua Santità deve riposare’. Noi, per rispetto, ci siamo zittiti del tutto. Dopo un po’ arriva il Papa e ci chiede, sorridendo: ’Ma perché avete smesso di cantare?’. Amava molto le canzoni di montagna: quando si era sulla via del ritorno di qualche gita don Stanislao, il segretario, faceva ascoltare dei cd con brani eseguiti da qualche coro».La montagna rimane nel suo cuore anche quando il fisico vacilla. Nell’aprile del 1994 Wojtyla cade di notte nel suo appartamento in Vaticano e si rompe il femore destro. Resterà claudicante e comincerà ad appoggiarsi al bastone. «Quell’anno il soggiorno valdostano venne posticipato ad agosto – ricorda Careggio – e in quell’occasione ho potuto ammirare la sua tenacia. La prima passeggiata, se così si può dire, non fu più lunga di cento metri, ma quando si rese conto che poteva di nuovo mettere i piedi su terreni sconnessi e non solo su un pavimento di casa, fu come se si riconciliasse con una parte di sé, quella del ’montanaro’. Mi guardò e disse:’Don Alberto, hai un Papa zoppo’. E io gli risposi: ’Santità, è vero, il Papa è zoppo, ma fa camminare la Chiesa’».
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