venerdì 28 dicembre 2012
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​Quando si cantava «volare nel cielo dipinto di blu, felici di stare lassù» non ci si immaginava che quei toni spensierati e felici si sarebbero potuti trasformare in un incubo. E così arrivarono i film, tanti, sulle catastrofi aeree. Flight di Robert Zemeckis prolunga la serie, ma il suo non è soltanto un film sulla paura dell’aria, la vulnerabilità della tecnica, la variabilità del caso, la debolezza di un uomo – il pilota, in questo caso – che si trasforma in un coraggioso eroe. Flight (nelle sale italiane dal 24 gennaio) è la perdita dell’innocenza di una categoria professionale importantissima, quella che sta alla cloche in una cabina di pilotaggio. Ed è, soprattutto, il ritratto della caduta e rigenerazione di una persona matura – il comandante Whip Whitaker interpretato da un vulnerabile, fragile Denzel Washington – che alla guida del volo SouthJet 227 in partenza da Orlando, messo davanti alla morte sua, dell’equipaggio e dei passeggeri, con una acrobatica operazione di volo, che si protrae per pochi, spaventosi minuti, riesce a salvarli quasi tutti. Vince, insomma, le turbolenze atmosferiche, l’irrompere del caso, la strage quasi certa, ma non le sue dipendenze: la droga e l’alcol.Flight, sugli schermi dal 24 gennaio (con Don Cheadle, Kelly Reilly, John Goodman e Melissa Leo nel cast), diventa un thriller dai risvolti sociali e umani che prevede un susseguirsi, impietoso ma vero, di falsità, di codardia, di offuscamento della legge e dei regolamenti, di depistaggio delle indagini, di opacità degli individui. Zemeckis, però, precisa: «Ci tenevo a esplorare quali sono i problemi che l’abuso di sostanze nasconde e sul modo di risolverli. Whip e Nicole, una fotografa da poco uscita dalla dipendenza della droga e che tenta di aiutarlo, sono come sono perché hanno difficoltà profonde. Usano sostanze chimiche per affrontarle, ma avrebbero potuto farlo anche col cibo o il gioco d’azzardo o il lavoro. Sentono, insomma, il vuoto intorno a sé». Una sceneggiatura che John Gatins ha sofferto nel portare a termine: «Ho iniziato nel 1999, lasciato e ripreso per dieci anni, perché ero convinto che nessuno avrebbe mai voluto produrre e girare un film come questo». Whitaker, infatti, diventa l’eroe del quotidiano che non può scendere dal palcoscenico mediatico e deve simulare una vita integerrima che non gli appartiene, anche se ciò comporta far convergere le colpe su altri, naturalmente innocenti, per salvare se stesso, un’immagine, una azienda, un sistema. Pochi sanno che lui, prima di ogni decollo, sniffa e beve, portando il suo grado di attenzione ai livelli minimi. Tutti lo applaudono, senza sapere chi sia veramente. «Mi piace il chiaroscuro di questo personaggio – confessa Washington – è stato interessante intraprendere questo viaggio, espormi e andare nelle zone grigie della vita. Mi sono preparato con cura. Sono andato su YouTube e ho scoperto che puoi vedere i comportamenti di alcolisti e bevitori abituali. Quasi tutti credono di essere persone normali che si fanno un drink una volta alla settimana, senza capire quanto sono andati lontano. Ho capito da quei filmati come dolorosamente funzionano le cose per loro: c’è una scena nel film in cui, completamente fuori di testa, sto guardando dei video di mio figlio e mio padre. Cerco di farlo mettendo a terra la bottiglia che ho in mano, ma mi ci vogliono lunghissimi minuti, una vera sofferenza».Il dramma del comandante Whip è circondato e offuscato dall’istinto di sopravvivenza della categoria e del business, che mettono in moto la sua difesa a oltranza, moltiplicando le menzogne, alterando e offuscando le prove della sua colpevolezza, in un dilemma che diventa, per molti se non per tutti, morale: mantenerlo eroe per sempre oppure renderlo finalmente uomo, mettendolo a nudo davanti alla società, ai colleghi e alla famiglia. Sarà lui a decidere, alla fine, che ammettere la verità è meglio di qualsiasi fama, applauso, onore e denaro. Perderà tutto, ma riconquisterà la stima del figlio. «Sono libero», dice Whip a se stesso dopo la sua confessione dinanzi alla commissione di inchiesta. Anche se Washington precisa: «Non credo che potrà essere completamente libero da tutto, dalla vita che ha fatto, dagli anni che ha perso o che perderà ancora lontano dalla famiglia, visto che dovrà passarne parecchi in carcere. Ma quello è davvero il momento in cui è libero più di ogni altro del suo passato: ora deve imparare tutto di nuovo, la sua vita comincia da lì».
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