Maestro Gatti, sta qui, al di là delle modernizzazione di registi e scenografi, l’attualità di Traviata?
«Traviata se letta superficialmente potrebbe apparire una storia, seppur tragica, d’amore. Ma in Verdi c’è sempre un livello molto più profondo di quello che appare a prima vista. L’opera è la denuncia del sopruso della società nei confronti di un individuo. Violetta è un Rigoletto con la gonna: se il giullare ha una deformità fisica, lei ne ha una psicologica, è bella fuori, ma con impresso dentro un marchio di infamia che le ha imposto la società. Lo stesso che portavano la Samaritana o l’adultera che per Gesù, però, erano prima di tutto esseri umani, al di là della loro condizione sociale.
Una lezione anche per il nostro oggi?
Il pubblico dovrebbe avvicinarsi ai personaggi verdiani come se fossero fratelli maggiori e specchiarsi in essi. Germont, preoccupato di non disperdere il patrimonio di famiglia, è uno che incute sensi di colpa negli altri, una persona senza compassione. Alfredo non ha umanità per sostenere le sue posizioni. Violetta scopre che rispetto alla vita dissoluta che ha sempre condotto ci potrebbe essere qualcosa di più normale. Ci prova e va fino in fondo sfidando anche un moralismo – che sopravvive ancora oggi – fatto di regole che la società si è data. Soccombe, ma ottiene il perdono perché la misericordia di Dio è molto più grande del perbenismo degli uomini».
Come liberare Traviata dai fantasmi del passato che l’hanno tenuta per anni lontana dalla Scala?
«Chiedendosi: Verdi sarebbe contento? Penso che sarebbe felice di sapere che le sue musiche vengono eseguite e al meglio. Se Traviata è un titolo 'vietato' occorre avere il coraggio di andare sino in fondo: vietiamo le rappresentazioni, ma anche l’ascolto privato su disco». Traviata segna il suo ritorno operistico alla Scala dopo che la sua strada e quella del teatro sembravano divise. «Per un po’ ho ritenuto opportuno stare lontano da Milano. Due anni fa mi hanno chiesto di dirigere Traviata e ho accettato perché torno a fare musica nella mia città e in chiusura dell’anno verdiano. C’è chi mi prende per matto e mi chiede chi me lo fa fare di buttarmi nella bolgia del 7 dicembre per di più con un’opera come questa. Rispondo la mia etica perché se uno fa il musicista non può sempre nascondersi dietro titoli 'protetti', occorre mettersi in gioco».
Un ritorno che avviene mentre sembra fatta la scelta del direttore musicale, salvo sorprese sarà Riccardo Chailly.
«Mi fa piacere sapere che in molti hanno pensato a me per questo ruolo, specie dopo l’arrivo a Milano come sovrintendente di Alexander Pereira con il quale ho lavorato a Zurigo e Salisburgo. Ma non è detto che un rapporto che ha funzionato in certi teatri funzioni anche in altri contesti. E poi non è detto che quando la Scala chiama tutti dicono automaticamente di sì. Ora che i giochi sono fatti affronto Traviata con molta serenità: posso dirigere come Daniele Gatti, non come possibile futuro direttore musicale che deve sempre sostenere un esame. E il 4 gennaio posso andarmene tranquillo a casa in attesa di tornare nel 2015 con Falstaff a chiusura della stagione dell’Expo e nel 2017 con I maestri cantori di Wagner.