Ma è soltanto il vessillo di un fenomeno che, pur restando di nicchia, sta acquistando dimensioni significative, tanto che le case discografiche hanno ricominciato a pubblicare i titoli anche come lp. Nel 2000 il mercato del vinile valeva 108 milioni di dollari: se quasi il 50% era fatturato in Giappone (47 milioni) negli Stati Uniti vendeva per 14 milioni e in Italia per 400mila dollari. Pochi anni dopo la débâcle era completa: nel 2005 in Italia la fetta di mercato è praticamente nulla: 100mila dollari, negli Usa, fatte le proporzioni, pure: 7 milioni. Il picco più basso generale è nel 2006: 37,5 milioni di dollari. Ma è anche l’anno in cui le cose cominciano a cambiare. Tanto che nel 2011 il mercato ha raggiunto quota 115,4 milioni di dollari. Un dato che per altro non contempla un fiorente mercato dell’usato, in cui si possono trovare buone copie anche a prezzi stracciati. In molti Stati si vende quattro o cinque volte di più che nel 1997: negli Usa 66,2 milioni contro 16,6, in Germania 12,9 contro 3,6, in Francia 5,6 contro 1 soltanto. L’Italia nel 2011 era il settimo mercato mondiale e quarto in Europa con 2,1 milioni di dollari, cresciuti a 3 nel 2012, segnando un +47%. Nulla, se paragonato ai 108 milioni di dollari dei cd, ma non male rispetto ai 12 del digitale. arti, il glorioso 33 giri lascia l’illusione di trattenerla tra le mani. Non c’è paragone tra il piccolo box in plastica e il libriccino del compact disc, dove per ogni cosa serve una lente di ingrandimento, e la grande custodia quadrata dal design che esalta immagini e grafica (e non è un caso che il padre della copertina che si squaderna come un libro è il grande artista Josef Albers). Come non c’è gara tra il cassettino del lettore, aperto con un pulsante, e il rito di calibrare la puntina sul grande disco nero che già ruota sul piatto.
Ecco perché è stato il mondo del collezionismo, quello pronto a fare pazzie per un pezzo pregiato e insolito, il primo ad avere rivitalizzato il vinile – e il Record Store Day sta lì a testimoniarlo, come le fiere specializzate che si moltiplicano proprio mentre chiudono le grandi catene di distribuzione, in Italia come a Londra. Ma che sia un ritorno dell’ aura (beffardo, perché proprio alla riproducibilità tecnica ne aveva imputato la perdita Walter Benjamin) come sostiene Quirino Principe – con un curioso spostamento dall’opera al mezzo – o un più prosaico effetto nostalgia, c’è anche un altro aspetto.
È un fatto che questa nicchia è in espansione anche tra chi chiede all’esperienza dell’ascolto qualcosa di più di quanto un paio di cuffie in treno possano dare. Gli appassionati di classica e jazz lo sostengono da un pezzo, già da quando scoprirono che la tanto lodata precisione del suono del cd nei fatti poteva diventare freddezza. Così come sanno che la compressione delle frequenze dei file audio impoverisce dettagli e profondità e annichilisce le escursioni dinamiche: addio pianissimi e ti saluto fortissimi. Il suono caldo e pastoso del vinile, si sa, era un’altra cosa. Così il microsolco, puntando sullo scontento degli audiofili e su chi del 33 giri ha solo qualche vago ricordo d’infanzia, rispunta anche in edicola. De Agostini l’anno scorso aveva pubblicato una serie di vinili 180 grammi con i capisaldi del jazz, a partire dall’immortale Kind of blue di Miles Davis. In questi mesi ci riprova con la musica classica. Dopo la Quinta Sinfonia di Beethoven diretta da Karajan con i Berliner Philharmoniker nella storica edizione del 1962 targata Deutsche Grammophon sono seguite incisioni di Solti, Kleiber, Abbado. Per un ritorno al passato manca a questo punto solo una cosa: il giusto tempo per sedersi e ascoltare.