Un fotogramma di "A proposito di Nizza"
È il febbraio del 1929 quando Jean Vigo (morirà di tubercolosi a 29 anni, era nato nel 1905), con l’aiuto dell’operatore Boris Kaufman, fratello di Dziga Vertov, gira un cortometraggio senza dialoghi, di solo immagini, À propos de Nice (A proposito di Nizza). Il corto sarà presentato il 28 maggio 1930 a Nizza. Bloccato negli anni Trenta con gli altri suoi due film, Zéro de conduite (1933) e L’Atalante (1934), in quanto giudicati irriverenti nei confronti delle istituzioni e della morale, verranno recuperati alla proiezione da cinéphiles e registi negli anni Sessanta, per poi esser considerati capolavori dell’avanguardia cinematografica francese.
Il padre di Jean Vigo era direttore di un giornale anarchico, e, arrestato per motivi politici, fu successivamente trovato morto in carcere, strangolato con lacci di scarpe. Il ragazzo Jean, forse a causa del vuoto affettivo, crebbe ribelle, ebbe una formazione irregolare, scappando da diversi collegi e scuole (materiale biografico confluito in Zéro de conduite). Intorno ai venticinque anni si interessa al cinema e acquista una camera di seconda mano.
Boris Kaufman, lasciata la Russia in piena Rivoluzione, vaga per l’Europa e nel 1927 si stabilisce in Francia. Lavora come operatore con diversi registi. Poi conosce Vigo (diverranno amici) e sarà il suo operatore sino alla morte di questi. Ovviamente Kaufman è influenzato dal cinema di suo fratello Dziga Vertov, le cui opere aveva visto nei suoi brevi rientri a Mosca. À propos de Nice è un fine saggio di ripresa e montaggio ancor oggi studiato nelle scuole di cinema.
Cosa racconta il film? Potremmo riassumere la trama in un rigo: è una passeggiata lirica attraverso, sopra, dentro la città di Nizza. Nella Nizza dei ricchi e borghesi turisti; nella Nizza proletaria. E come si articola? Qui si fa più difficile riassumerla. Ci proviamo. Il film inizia come un documentario inconsueto, con riprese aeree della città, in spettacolari carrellate in CLL. Vediamo scorrere i lotti delle villette, con i loro giardini, le vie geometriche a reticolo che tracciano il quartiere di Nizza prospiciente la Costa Azzurra. E poi, ecco il mare. Le onde leggere colte delicatamente, in campo ravvicinato, mentre si adagiano sulla battigia.
Dopo questa sequenza dal vero, ne segue una inattesa, simbolica. Un pupazzetto di cera, raffigurante un turista con valigia, è sul tavolo da gioco di una roulette. Il croupier, con un secco colpo di rateau, trascina via l’uomo che cade sul tappetino ed esce dal tavolo. Chiara allusione: Nizza, città del gioco d’azzardo cui non si può resistere, svuota le tasche dell’ingenuo turista piccolo borghese, giocatore improvvisato, in pochi secondi. Nelle sequenze successive il film ritorna negli esterni e vi rimarrà sino alla fine. Ammiriamo le altissime palme riprese in contreplongée, in campo lungo, con la camera che si avvita a 360°; lo stacco ci riporta sul velo del mare, a godere del movimento plastico di piccole onde, mentre si smorzano sulla riva, al rallenty, schiumando.
Ora l’operatore Kaufman cammina con la camera tra i villeggianti, colti durante la passeggiata pomeridiana, sulla Promenade des Anglais: taluno, tra i ripresi, fa finta di nulla, qualcun altro guarda irresistibilmente in camera. Una sorta di omaggio indiretto ai Lumière. Molti hanno ancora il cappotto; un bell’uomo, alto, in abito nero con occhiali scuri, cammina compiaciuto del suo fascino; insomma, è una di quelle giornate assolate foriere della primavera. Tutti, con una punta di civetteria, guardano e vogliono esser notati. L’uomo europeo si gode la pace dopo la Grande Guerra. Non si profilano nuovi conflitti all’orizzonte.
L’“attore” principale del film, che non si vede, ma di cui registriamo le reazioni da parte degli attori, è il sole. Senza di esso il film non esisterebbe. Alcuni turisti sono seduti a prendersi la prima tintarella. Chi in una sedia del bar, chi in una sdraio sulla spiaggia, chi su un muretto. Altri deambulano indecisi, non sapendo dove andare, talmente t’incanta la sirena del lungomare. Ognuno si difende dalla luce diretta del sole come può: chi indossa occhiali neri; chi abbassa nervosamente la tesa del cappello; chi fa, dantescamente, solecchio. Vigo, astutamente, usa la figura della prolessi, che nel cinema chiamiamo flashforward. Quella enorme testa di cartapesta cui sta lavorando un artigiano, dipingendola, la vedremo verso il finale nella sfilata dei giganti personaggi carnascialeschi per le vie della città. Siamo alla vigilia del famoso Carnevale di Nizza.
Il corto è diviso in due parti. Nella seconda, Vigo e Kaufman si dirigono nella Nizza popolare, nei quartieri operai. Uomini giocano a morra (ripresi di nascosto dall’alto per evitare il documentario ricostruito); del bucato al sole, gonfiato dalla brezza marina, unisce, in un gioco di bandiere, due popolari scalcinati falansteri; un emaciato gattino è alla ricerca d’una lisca di pesce tra i rifiuti; ciminiere di fabbriche fumanti. Un motivo allegro e antiborghese è il cancan di alcune donne, forse sono delle prostitute, chiamate da Vigo a ballare al rallenty su una piattaforma di metallo rialzata, e riprese in contreplongée. Vigo-Kaufman inquadrano le loro gambe e cosce che si scoprono a tratti, a motivo della danza, ma delimitate da provvidenziali mutandoni. I due autori vogliono compiere un gesto irriverente contro il costume borghese e la morale benpensante, visto che poi montano in alternato, provocatoriamente, dei bianchi angeli oranti, facenti parte del complesso scultoreo della nota Baie des Anges.
Se ad alcuni, oggi, risulta un po’ superato il messaggio da lotta di classe che lo spirito anarco-marxista di Kaufman e Vigo sottendeva, ad altri questa coloritura socialista appare evergreen. Cosa ci solletica in queste settimane la visione di À propos de Nice? Passato il Covid-19, progressisti o conservatori, ci comporteremo tutti da piccolo-borghesi, invadendo lungomari, riviere, spiagge e posti finto-chic, per lo spritz, la passeggiata, l’agognato ciarlare, la movida. Ci auguriamo a giusta distanza. Senza preoccuparsi di chi rimarrà nelle borgate a giocare a carte nel giardinetto di uno squallido bar. Con un emaciato e triste gatto in attesa d’una fetta di salame.