Sordi attraverso gli occhi dei fratelli Verdone. Con
Alberto il grande, proiettato ieri gratuitamente in tre sale del cinema Adriano, raccogliendo un migliaio di fan, la capitale rende omaggio a uno dei suoi più grandi attori. Realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, il lavoro nasce per la diffusione nelle scuole, in dvd, e nei festival e avrà, come spiega Carlo, «una funzione prettamente didattica per recuperare non solo la memoria di Alberto Sordi, che è stato un fenomeno che ha rappresentato il Dna degli italiani con i loro tic, i loro pregi e i loro difetti, ma anche per rendere omaggio a un passato pieno di dignità e di poesia che non esiste più». Il documentario ripercorre, attraverso interviste, scene inedite e il racconto dei familiari, Sordi attore, Sordi amico e Sordi fratello «Sul set di
In viaggio con papà – racconta Carlo Verdone – mi riempiva di baci, anche dati con la mano. In questo film abbiamo girato tanto, forse troppo. Lui, che era il regista, scelse di tagliare le scene dove era il protagonista e lasciò tutte le mie battute nel montaggio finale. È l’unico regista, tra quelli che conosco, compreso me stesso, che si sia comportato in questo modo. Alberto non era un uomo competitivo». E proprio in quel film, dove Sordi interpretava il padre di Verdone, viene narrato in
Alberto il grande un ricordo molto affettuoso: «Stavamo provando – racconta Carlo Verdone – una scena a casa di Alberto. Mentre leggevo gli ho proposto di tagliare una battuta troppo lunga. Ero convinto che era stata scritta da Rodolfo Sonego (lo sceneggiatore di fiducia di Sordi, ndr). Invece era un’idea di Sordi. Mi sono arrampicato sugli specchi e lui mi ha guardato, dicendomi: "Taglia tu", ma poi non lo fece. Era un discorso lunghissimo sul ruolo della famiglia, sulla separazione dei genitori. Ma quasi tutte le mie proposte sono state sempre ascoltate».
In Alberto il grande le immagini di Sordi, sincero anticipatore di vizi italiani e maschera rivoluzionaria (fu pure intervistato da Andy Warhol, grazie a Enrico Vanzina che fece da traduttore) si alternano alle testimonianze di registi, amici e attori, come quella commovente di Franca Valeri, e poi Gigi Proietti, Ettore Scola, Emy De Sica e Claudia Cardinale. E per la prima volta Carlo e Luca Verdone ci fanno vivere l’interno della casa di Alberto Sordi, la famosa villa di via Druso. «Le case sono ormai – sottolinea Carlo – gli scrigni delle memorie. In questa villa, tanto ambita anche da registi come Vittorio De Sica e dove ancora tutto è rimasto uguale, emerge come Sordi, attore rivoluzionario e d’avanguardia, si fosse fermato. È una casa piena di ricordi e di oggetti, dove emerge anche la sua mania per l’ordine». «Aggiungerei anche la poca luce – sottolinea il regista Luca Verdone – pur essendo la villa situata in un posti più belli e luminosi di Roma. Possedeva quadri del ’700 che doveva riparare dal sole, ma nella casa, anche se non fossero stati presenti quei dipinti, ci sarebbe stata la penombra perché regnava una certa riservatezza. Lui era solito fare una siesta nel pomeriggio. Amava stare a letto e ascoltare da lontano il rumore della città». Del rapporto forte e intenso che ha avuto con Federico Fellini (con lui girò
Lo sceicco bianco,
I vitelloni e
Roma) è rimasta una scena inedita. «Abbiamo recuperato – racconta Luca – quella sequenza, completamente sparita, grazie a Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna. Era il 1972 quando nostro padre (il critico cinematografico Mario Verdone, ndr) invitato da Fellini, mi portò alla proiezione riservata di
Roma, presso la Fonoroma. Del film mi colpì una battuta inedita che Sordi dice ad un cieco di passaggio: "Lèvate cieco famme vedere". Emergeva un Sordi inedito, cinico, beffardo: quella scena fu cancellata dalla memoria collettiva. Dopo la prima del film Alberto chiese di toglierla. Era mortificato perché offendeva i non vedenti. Però quella è una scena che rivela in pienezza il rapporto gioviale che univa Sordi a Fellini». «Aveva un legame fortissimo – aggiunge Carlo – con i primi anni della sua vita e spesso mi invitava a fargli domande sul suo passato. Le mie domande giravano intorno ad Anna Magnani, Federico Fellini e al varietà. Ero però interessato molto a Fellini, il mio regista del cuore. E lui mi rispondeva: "Attento. Fellini è anche un ’imbroglio’. Lo diceva perché Federico non scriveva le sceneggiature e improvvisava sul set. Le scene dei film di Fellini nascevano da un pezzo di carta e una matita».