C’è poco da ridere, penserà qualcuno. Eppure si ride, con
Posti in piedi in Paradiso. E Carlo Verdone può ritenersi soddisfatto di perseguire, ormai da decenni, il suo (convinto) impegno «di trattare in forma di commedia temi nient’affatto divertenti». Anzi: drammatici. «Le commedie migliori, anche attuali, partono sempre da fragilità o disagi sociali. Più c’è dramma, più la commedia si esalta». E che c’è di più drammatico (e attuale) di tre padri separati, che dissanguati dagli alimenti che versano alle ex mogli, per sopravvivere pensano di andare a vivere assieme, e mescolare così i rispettivi, tragicomici affanni? E difatti: «Il tema l’aveva intercettato, come molto sentito, il mio abituale sceneggiatore Pasquale Plastino – racconta Verdone –. Ma io non sapevo fino a che punto potesse diventare commedia. Alla fine, però, ho raccolto la sfida». E dunque in
Posti in piedi in Paradiso – dal 2 marzo su 650 schermi – ecco lo stesso Verdone, ex discografico ora ridotto a vendere vinili in un negozio vintage, convivere con Pierfrancesco Favino (già critico cinematografico, oggi cronista di gossip) e con Marco Giallini (prima imprenditore, adesso scalcagnato agente immobiliare). E tutti e tre dannarsi l’anima su come sbarcare il lunario.«Bisognerebbe sempre avere il coraggio di guardare la realtà nei suoi lati peggiori – commenta il regista –. E riderci su. In questo modo i film fanno un salto di qualità. Ormai di una pellicola non si chiede più "com’è?", ma "quanto ha fatto?". D’accordo: il cinema dev’essere anche intrattenimento. Ma non solo». Il tema dei padri «genitori di serie B», e quello conseguente delle ex mogli vendicative attraverso alimenti esosi, aleggia così su tutta la storia. «Attenzione, però: il mio non è un film contro le donne – (che nel film hanno i volti di Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Diane Fleri) –. Gli uomini delle generazioni dai 35 ai 50, infatti, sono spesso poco affidabili; manca loro l’autorevolezza. E questo le donne lo sentono, e ne soffrono». Mentre sulle ingiustizie patite dai padri separati, «io credo che la legge sia troppa severa, nei loro confronti. È davvero terribile ed umiliante poter incontrare i propri figli solo con l’orologio in mano. Per questo nel finale del mio film c’è un’apertura alla speranza verso le nuove generazioni». Cronicamente destinati a fallire ogni tentativo di miglioramento, infatti, i tre protagonisti avranno almeno la consolazione finale di riconciliarsi coi propri figli. «Sono ottimista e credo molto nelle nuove generazioni – ammette Verdone –. Poco tempo fa, vedendo mio figlio e i suoi amici laurearsi con tanto entusiasmo, pensavo: speriamo abbiano una vita meno confusa e nebulosa della nostra. Vorrei che dal mio film si percepisse l’inutilità dello scontro fra genitori separati, proprio per non traumatizzare i figli. Già il mondo occidentale ha deragliato. Se deraglia anche la famiglia, è finita. Ma l’esempio ai ragazzi, in Italia, chi lo dà?». E a questo proposito il regista-interprete riferisce il parere del suo fioraio. «L’altro giorno m’ha detto: "Il capo de ’sto governo tecnico ce sta a ridurre sul lastrico. Però me piace. E sai perché? Perchè è serio. Nun ride mai. E nun ride mai perche nun ce sta niente da ride!"».