VivaVivaldi al Museo diocesano di Venezia
Pare che le Quattro stagioni siano il brano di musica classica più eseguito, ascoltato e reinterpretato al mondo. Pare: perché classifiche di questo tipo sono difficilmente verificabili; ma tutto sommato è plausibile. Di certo Antonio Vivaldi è stato in vita uno degli autori più amati di tutta Europa per poi finire i suoi giorni in miseria e rapidamente dimenticato, secondo meccanismi di "consumo" e sostituzione che avremmo detto più tipici dei nostri tempi. La sua opera è stata oggetto di una riscoperta a partire dagli anni Trenta del Novecento – e con grande efficacia, se meno di un secolo dopo Vivaldi è celebre ovunque e ci meravigliamo che fosse caduto nell'oblio.
Un lavoro proseguito con ancora più fervore negli ultimi tre decenni sotto l'approccio filologico e interpretativo per restituire lo spirito di una musica ricchissima e sempre sorprendente, esplorandone i tanti versanti: i concerti, le sonate, l'opera, la musica sacra... Ma per il grande pubblico è ancora, forse inevitabilmente, le Quattro stagioni. Bocconi ghiotti per gli impresari del brand, abili a sfruttare giacimenti culturali impoverendoli. Nella città lagunare si può notare un processo di massificazione che rischia di ridurre Vivaldi a quello che Mozart è per Salisburgo. Un fenomeno "pop", nell'accezione deteriore: perché depauperato della ricchezza, del fascino e del mistero che la sua musica e la sua personalità contengono
Vivaldi, però, è Venezia. È l'incarnazione del suo spirito e del suo genio al massimo grado. È possibile allora raccontare uomo e suoni alle masse erratiche per le calli, senza fermarsi sul cavillo critico ma senza tradirlo? È la sfida raccolta da VivaVivaldi, esempio innovativo di divulgazione che aspira a essere essa stessa esperienza artistica. Un progetto ambizioso per mezzi, tecnici e intellettuali, dispiegati, che ha inaugurato pochi giorni fa nelle sale del Museo diocesano di Santa Apollonia, a pochi passi da San Marco. Progettato e promosso da Emotional Experiences (società creata da Francesco Bernardi, già fondatore di Illumia, e Gianpiero Perri, artefice di Matera 2019), è un percorso immersivo in tre tappe dentro il mondo-Vivaldi attraverso una fusione di luci, immagini, odori e naturalmente suoni. A coordinare la drammaturgia è stato chiamato Davide Rondoni, anche direttore artistico di VivaVivaldi, che offre ai visitatori in un racconto, come in un ouverture, la cifra storica e interpretativa di quanto poi sarà evocato attraverso la sollecitazione dei sensi.Se la prima sala lavora su proiezioni che si muovono su pareti e su schermi trasparenti, muovendo dalla nascita (segnata da una congenita «debolezza di petto» per la quale la madre fa voto di consacrare il figlio a Dio), la seconda è una pausa intima dai toni minimalisti ma estremamente efficace per la capacità del video di Marco Pozzi, proiettato da molti monitor, di evocare lo stupore di Vivaldi stesso davanti al proprio genio e alla musica: una sorta di romanzo di formazione attraverso la chiave del sogno, estremamente, e felicemente, contemporaneo.
L'ultima sala è quella più spettacolare, in cui per la prima volta la tecnica del videomapping (impiegata ad esempio negli spettacoli son et lumière sulle facciate delle cattedrali d'Oltralpe), curata dagli specialisti francesi Jean-François Touillad e Gilles Ledos, viene applicata a un interno: una sala colonnata in cui vediamo Venezia sprofondare, riemergere, trasformarsi durante le "quattro stagioni", mentre l'architettura vibra in empatia con la musica e Vivaldi muore al mondo per restarvi con la sua arte.L'allestimento è senza dubbio spettacolare e coinvolgente, ma se non ci fosse contenuto sarebbe solo una versione più sofisticata di un'attrazione di parco divertimenti.
VivaVivaldi è invece un'operazione che consente diversi gradi di lettura, da quello più immediato a quello più colto. Davide Rondoni, nella fedeltà alla storia, ha trovato la chiave del racconto nella "traduzione" non di una biografia ma di una poetica, intrisa di meraviglia e di religiosità: «Una religiosità inquieta – dice – dinanzi al mistero stupendo della natura e della vita: questo è ciò che può comunicare il genio di Vivaldi ancora oggi a un pubblico contemporaneo. Ed è proprio da questa inquietudine che scaturisce la sua creatività, quella stessa inquietudine che accompagna le sue "visioni" e le sue composizioni, così ricche eppure così immediate da ascoltare».
Il Vivaldi di Rondoni è dunque il ritratto di un uomo davanti al mistero della potenza creatrice, quel respiro che biblicamente dà vita al mondo e umanamente dà corpo alla musica. Ed è la musica, più ancora della tecnologia, il vero valore aggiunto artistico dell'operazione. Non è scontato: perché Christian Carrara ha selezionato una ventina di frammenti di varie opere vivaldiane di ogni genere – tutte in edizioni di riferimento, da Fabio Biondi a Francesco Maria Sardelli a Philippe Jaroussky – cucendoli con musica nuova in tre brani, uno per sala, per 35 minuti senza soluzione di continuità, a cui le immagini fanno da "colonna visiva". Un'operazione davvero raffinata, una sorta di cangiante rendering che, sull'insegnamento di Berio ma anche sulla scorta del Vivaldi Recomposed di Max Richter, fonde e allo stesso tempo mantiene riconoscibili antico e contemporaneo. Il tutto in una facilità di approccio. Un Vivaldi pop? No, per fortuna. Ma, per fortuna, popolare sì.