La Mostra che sarà. A ogni cambio della guardia, le speranze (o i timori?) puntuali si riaccendono. Così, per l’edizione numero 69 della Mostra Cinematografica di Venezia – di scena dal 29 agosto all’8 settembre prossimi – i riflettori sono puntati innanzitutto su di lui. Alberto Barbera, direttore succeduto a Marco Müller con simbolico incrocio di destini (Barbera già "veneziano" dal 1998 al 2002; Müller ora "romano", alla guida cioè del "rivale" Festival di Roma) di nuovo sotto il peso delle croci e delizie festivaliere. Alle prime vanno certamente ascritte le consuete considerazioni sulla partecipazione italiana: «Innanzitutto ho stimato necessario abolire del tutto la sezione Controcampo, che era dedicata esclusivamente ai titoli tricolori – annuncia il neo-direttore (che alla Mostra ha ammesso, complessivamente, 14 pellicole nostrane) – Era troppo simile a una riserva indiana. I nostri film devono partecipare alla pari con quelli stranieri. E poi, scegliendo i nostri titoli, temo di aver perso degli amici. Da noi, infatti, i grandi autori s’aspettano di partecipare alla Mostra automaticamente, come fosse un diritto acquisito. E dire loro no diventa sempre più difficile». I "no" di Barbera hanno così aperto le porte del Concorso solo al problematico
Bella Addormentata di Marco Bellocchio (che ispirandosi al doloroso caso di Eluana Englaro promette di suscitare fin d’ora perplessità e polemiche), al Daniele Ciprì di
È stato il figlio(storia di una famiglia disastrata nella Palermo negli anni ’70) e alla Francesca Comencini di
Un giorno speciale (film low cost sull’incontro di due giovani). Tra i 17 titoli (50 quelli complessivi in cartellone, tutti in prima mondiale a parte uno) suscitano attese, inoltre,
Passion di Brian De Palma,
Outrage Beyond di Takeshi Kitano,
To the Wonder di Terrence Malick.Come spesso accade, però, sussulti autoriali e divistici sembra riservarli maggiormente la sezione dei Fuori Concorso: qui potremo incontrare la Susanne Bier di
Den skaldede frisor, l’Amos Gitai di L
ullaby to my father, il centenario Manoel De Oliveira di
O gebo e a sombra, lo Spike Lee del documentario
Bad 25 (dedicato ai venticinque anni dall’uscita dell’omonima hit di Michael Jackson), la Mira Nair di
The reluctant fundamentalist (che inaugurerà ufficialmente il festival; mentre il titolo di chiusura sarà
L’homme qui rit, di Jean-Pierre Ameris, tratto da Victor Hugo e con Gerard Depardieu). Solo l’attesissimo Robert Redford (regista e interprete di
The company you keep, con Julie Christie e Susan Sarandon) non si sa se presenzierà all’appuntamento: «Sta girando un altro film, nel Golfo del Messico». Ma anche per smentire chi immagina la sua Mostra come «troppo sobria, austera e radicale», Barbera fa un elenco tutto glamour delle star che sfileranno sul red carpet: Javier Bardem, Pierce Brosnan, Ben Affleck, Zac Efron, Nick Nolte, John Malkovich, Stanley Tucci, Winona Rider, Jeanne Moreau, Susan Sarandon, Kristin Scott Thomas.Spigolando inoltre fra le numerose rassegne collaterali (ma solo due retrospettive, quest’anno: «Le retrospettive sono destinate a morire: sono troppo difficili da organizzare, e ne presentano già di ottime le cineteche») interesse e attesa suscitano i documentari
Clarisse, firmato da Liliana Cavani, e
Medici con l’Africa di Carlo Mazzacurati, oltre a
Gli equilibristi di Ivano De Matteo (con Valerio Mastandrea e Barbora Bobulova). «Ma quello di quest’anno è certamente un programma che si assume dei rischi – ammette Barbera – Accanto ad autori grandi o comunque affermati, infatti, si sono molti autori poco noti al grande pubblico, e molti registi del tutto sconosciuti, provenienti da paesi senza tradizione cinematografica (come Guatemala, Indonesia, Malesia) e che la distribuzione commerciale ignora completamente. Il che però dimostra che, accanto alla crisi, c’è anche un gran fermento di nuove realtà». Temi ricorrenti nella maggior parte delle pellicole – appunto – «la crisi internazionale. Non solo quella economica; ma anche la crisi dei valori, dei rapporti umani». Dato incoraggiante: «Su 60 registi, almeno 20 sono donne. E non si è trattato di una scelta voluta: al momento di visionare molte pellicole non ne conoscevo nemmeno gli autori».Chiamato a esprimere un parere sul caso Cinecittà, «un conto è il mito che quel luogo rappresenta, e che tutti vorremmo preservare – ha osservato Barbera – Un altro il problema imprenditoriale, che conosco poco e sul quale non posso pronunciarmi».