Francesco De Gregori e Antonello Venditti in concerto ieri sera sul palco dello stadio Olimpico di Roma - / Roberto Panucci e Giovanni Canitano
«L’obiettivo di questo concerto è fare festa e il nostro repertorio è un buon carburante. Diciamo che abbiamo portato le costolette buone per il barbecue». In questa frase di Francesco De Gregori c’è un bel po’ dello spirito di questo connubio Venditti / De Gregori, che ieri sera a Roma allo Stadio Olimpico ha dato il via ad un tour che li vedrà insieme per quest’estate e oltre, a mischiarsi canzoni e voci. «Con Francesco c’è affinità, stima, amicizia, fa parte della mia vita anche musicalmente. Il nostro concerto è come un’unica grande canzone» confessa Venditti.
Il volo a due era programmato per due anni fa ma poi un pandemico destino lo ha spostato a questa fine primavera, guarda caso a cinquant’anni dal loro esordio discografico che li vedeva coinquilini sotto l’insegna misteriosa di Theorius Campus. Lì c’era Roma Capoccia, ma anche, scritta da De Gregori e cantata insieme, Dolce signora che bruci, che è forse uno dei momenti più forti di questo concerto. Fatta intima, nuda, con solo due voci e una chitarra. A introdurre la serata invece c’è l’imponente Also sprach Zarathustra di Richard Strauss.
«Ma vuole essere dissacrante – spiega Venditti –, alla fine siamo due persone normali, anche se mi rendo conto che nella musica a nessuno dopo cinquant’anni è capitato di fare quello che stiamo facendo noi, cioè fare quello che non avevamo fatto prima, 50 anni fa. Questa non è una reunion, mi rendo conto che è una cosa strana».I due in realtà da ragazzi avevano già diviso il palco e non solo tra le mura umide del leggendario Folkstudio, ma anche in alcuni concerti nel centro-sud con “I giovani del folk”, insieme a Ernesto Bassignano e Giorgio Lo Cascio, e poi in un tour in Ungheria in cui era successo di tutto. Comprese alcune canzoni scritte a quattro mani che per lo più sono finite chissà dove.
A Roma ieri il via è stato con Bomba non bomba, un must di Venditti che racconta proprio di loro («partirono in due ed erano abbastanza») e delle loro canzoni nel piombo degli anni 70. I due all’inizio delle prove si erano chiesti se inondare la scaletta di successoni o alternarli a qualche brano più nascosto dei rispettivi canzonieri. Venditti era per la prima ipotesi, De Gregori per la seconda. Ha vinto la prima. Si va avanti e indietro negli anni, nei ricordi, c’è l’Italia che scorre dentro a queste canzoni. L’Italia che è stata sulle prime pagine dei giornali e quella piccola, la quotidianità di chi le ha ascoltate e ci ha infilato il proprio vissuto.
«Siamo due sopravvissuti, sopravvissuti bene. Ai bravi cantanti ventenni di oggi auguro di sopravvivere per cinquant’anni come noi» dice Francesco. Nella conferenza stampa pomeridiana c’è complicità, anche un po’ di goliardia. «Se ci vogliamo dire una cosa – racconta Antonello – oggi ce lo diciamo direttamente, non attraverso i giornali e ce la diciamo come amici, non come nemici o competitori». Qual è il miglior pregio dell’altro? «L’alta tolleranza alla banalità» risponde sicuro De Gregori del collega. Che ribatte: «E di Francesco l’intolleranza alla banalità».
Ed eccoli sul palco. De Gregori a sinistra, Venditti a destra. Scenografia fatta di cubi, due modi diversi di cantare, di distendere le parole, di emettere il suono, e questo è un valore aggiunto. I due timbri di voce da sempre si sposano bene e qui si sposano anche molto, visto che sono parecchi i pezzi che i due cantano insieme pescando nei rispettivi traboccanti repertori. Hanno due momenti a testa per stare da soli sul palco, il resto è in tandem.
C’è una Pablo un po’ pinkfloydiana e una Donna cannone che dà modo a Venditti di liberare la voce; ci sono una superlativa Modena, Sotto il segno dei pesci e così via. Ognuno dei due lascia fuori una ventina di pezzi famosissimi, ma non poteva essere altrimenti. Entrambi, negli anni, hanno affinato un loro suono. Qui, sostiene De Gregori, «il suono non pende da nessuna parte, è una meravigliosa e virtuosa collisione fra i nostri due. E poi ci sono le due voci che uniscono tutto. Durante le prove non abbiamo mai sentito una frizione, anzi le differenze sono una marcia in più».
«E poi abbiamo un grande gruppo in tutti i sensi» aggiunge Venditti. Già, nota di merito per la band che schiera musicisti dell’uno e dell’altro: Alessandro Canini (batteria), Danilo Cherni (tastiere), Carlo Gaudiello (piano), Primiano Di Biase (hammond), Fabio Pignatelli (basso), Amedeo Bianchi (sax), Paolo Giovenchi (chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino), Fabiana Sirigu (violino), Laura Ugolini e Laura Marafioti (cori).
Ad un certo punto arriva l’omaggio a Lucio Dalla, con quella Canzone che i due avevano già inciso qualche tempo fa per lanciare il concerto insieme. «Quello probabilmente è un punto esclamativo nella scaletta» annota De Gregori. Gran concerto, denso, vitale, corroborante. Dopo due ore e mezzo l’ultimo bis è per Buonanotte fiorellino e poi il botto con Grazie Roma, inno da stadio di Venditti d’inizio anni 80, che De Gregori all’epoca aveva snobbato e poi un po’ invidiato. Ora ci suona il tamburello davanti a 45 mila spettatori, tra cui Sorrentino, Checco Zalone, Marco Giallini, Virginia Raffaele.
Su circa mezzo migliaio di canzoni scritte complessivamente dai due, oltre trenta sono in questo prodigo concerto. Qualcuna delle altre magari ci finirà più in là, perché ora si gira l’Italia suonando in posti all’aperto (prima data il 7 luglio a Ferrara) e dall’autunno nei teatri. Hanno superato i 70 anni. E si divertono, si vede, si sente.