La cantante Ornella Vanori, 86 anni
«Vedo una grande mancanza di cultura, che avanza e cresce soprattutto sui social, e non mi piace. E Giorgio Strehler oggi ne soffrirebbe moltissimo». Lucidissima e senza mezze misure Ornella Vanoni, la signora della canzone italiana, 86 anni magnificamente portati, fa un confronto fra l’oggi e i tempi in cui giovanissima mosse i primi passi nel mondo dello spettacolo proprio sul palcoscenico del Piccolo grazie al suo maestro e pigmalione Giorgio Strehler. Sarà lei una degli ospiti più attesi della serata di domani, alle ore 20 al Piccolo Teatro Strehler, nella quale “La Milanesiana” renderà omaggio al grande regista, al quale è dedicata la seconda serata della 22ª edizione del festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi, il cui tema quest’anno è Il Progresso. Aprono questo appuntamento speciale la scrittrice e poetessa Edith Bruck. A seguire il palco del Piccolo accoglierà grandi nomi del teatro e della musica italiana per un omaggio al suo fondatore. Ottavia Piccolo, Massimo Ranieri, Ornella Vanoni ricorderanno, anche attraverso un suggestivo racconto fotografico, il grande regista nei 100 anni dalla sua nascita, avvenuta il 14 agosto 1921. In programma gli interventi dell’editore Mario Andreose e della scrittrice Cristina Battocletti.
Signora Vanoni, cosa manca di Strehler nell’Italia di oggi?
Oggi esistono altre altre personalità con altre culture, io vivo in questo mondo e cerco di cogliere il buono di ogni epoca. Io vado spesso a teatro e l’altra sera ho visto una splendida regia di Mario Martone al Teatro Franco Parenti. Ma, ripeto, manca la cultura, specie in questa epoca di pandemia. Strehler soffrirebbe anche perché il teatro è come una candela meravigliosa, che si accende e si spegne. Non è come il cinema che è riproducibile.
Da quel 1956 in cui debuttò al Piccolo, lei è stata capace di restare sempre sul’onda dell’attualità.
Per andare avanti occorre prendere al volo quello che la società di oggi ti offre e tra i giovani mi trovo meravigliosamente. Certo, non c’è più quel cantautorato. Oggi c’è, come cantano Colapesce e Di Martino, «Musica leggerissima, parole senza mistero», c’è un ricerca di leggerezza che non vuol dire ingoranza, ma che può essere molto colta. Oggi l’atmosfera è talmente pesante, il mondo è pieno di guerre, la povertà che c’è mostruosa anche in Italia, e capisco che ci sia bisogno di leggerezza.
Lei aveva 19 anni quando si iscrisse alla scuola di recitazione del Piccolo Teatro e venne scoperta da Strehler. Cosa ricorderà alla Milanesiana?
Parlerò di Giorgio, del mio stupore davanti alle prove sue e di attori monumentali come Tino Carraro, Sarah Ferrati, Tino Buazzelli, Paola Borboni. Io stavo dalla mattina alla sera al Piccolo, ero una spugna e ho assorbito e assorbito. Il nostro è stato anche un rapporto sentimentale molto complicato che fece scandalo. Per una ragazza incontrare un uomo di quel calibro è una cosa che ti schianta la vita. Anni dopo averlo lasciato, ed è stata lunga, gli ho scritto una lettera: «Io sono la sua tua migliore allieva perché ce l’ho fatta da sola». L’ha mandato in bestia... (ride).
Il suo rapporto sentimentale con il maestro è stato molto turbolento come lei ha raccontato nella sua autobiografia, ma lei ha trovato la forza di uscirne.
Sapevo che i vizi che aveva li avrebbe portati avanti, e io non potevo più accettarlo. Però sono stata molto amata, lui mi stimava molto, mi diceva che io ero molto intelligente, mentre io avevo l’autostima sotto le suole. Poi me l’ha detto anche Tognazzi in una trasmissione tv, allora ho pensato che forse era vero….
A un certo punto è entrato Gesù nella sua vita e lei ha fatto pace col suo passato.
Anni fa mi sono ribattezzata entrando nella Chiesa evangelica, anche se poi l’ho lasciata. Ma Gesù è entrato nel mio cuore, mi rivolgo a lui dentro di me. Mi ha insegnato a essere più generosa verso gli altri e mi è caduta completamente la maschera della vanità.
Torniamo agli esordi. Strehler la lanciò come cantante con le celebri canzoni della “mala”...
Il mio debutto da cantante fu negli intervalli a teatro de I giacobini. Un successone. Fu a partire da lì che si inventarono le canzoni della “mala”. Non esisteva una tradizione milanese al proposito, così Strehler arruolò autori come Gino Negri, Dario Fo Fiorenzo Carpi e Fausto Amodei che scrissero questi brani. Io ero bella e avevo sempre paura. Il movimento l’ho imparato da Strehler, il vestito è arrivato dalla Curiel, sono andata a cantare nelle università e nei luoghi della cultura impegnata. A Roma c’era Laura Betti che cantava un repertorio simile. Mi hanno detto: «Vi odierete», invece siamo diventate grandi amiche.
Che Milano era quella di allora? Era un periodo incredibile, ricco di fermento. C’era Gaber che era straordinario, a me piace tutta la sua evoluzione, e poi Jannacci. Io ho vissuto quel periodo e mi sono divertita tanto. Milano era una gioia, mentre ora è una città tutta isterica, punta solo sui soldi.
Come ha vissuto la pandemia?
A me la pandemia non ha fatto paura, io c’ero quando c’erano le bombe a Milano durante la guerra. Poi siamo scappate da qui, ci siamo rifugiate a Varese. Una genialata. Là c’era l’unica industria aeronautica italiana e bombardavano tutti i giorni.
Lei è sempre proiettata verso il futuro. I prossimi progetti?
Sto per finire un docufilm con Elisa Fuksas su di me, che amo l’acqua, dove sono metà donna e metà sirena. Poi uscirà a settembre un film che è un remake di Otto donne e un mistero di Fracois Ozon dove sarò una nonna tutta matta. In autunno poi finalmente inizia il tour delle canzoni. Il mio mestiere mi piace molto, quello che diventa pesante a una certa età sono i viaggi e i cambi di albergo. Dopo l’uscita del disco Isole viaggianti, prodotto da Mauro Pagani, uscirà un album live con due inediti.
L’isola viaggiante è lei?
Come canto, siamo sempre in cerca di sentieri secondari. Non c’è mai il posto giusto, è la ricerca del posto giusto che ci fa andare avanti. A me poi salvano la curiosità e l’ironia – non il sarcasmo che è brutto – che aiuta molto ad alleggerire.