«Una mattina ti svegli… e la tua Elvira non c’è più». È il finto lamento di Alberto Sordi ne Il vedovo (capolavoro della commedia all’italiana di Dino Risi) alla notizia della morte della moglie Elvira, Franca Valeri. Una coppia formidabile quella composta dalla prima donna comica del cinema italiano e un fuoriclasse assoluto della risata, l’Albertone nazionale. Due coscritti classe 1920, separati alla nascita da una manciata di giorni: Sordi era venuto al mondo a Roma il 15 giugno, la Valeri (all’anagrafe Franca Norsa) il 31 luglio. Il secolo della Signorina Snob si è chiuso domenica mattina. Uno spettacolo di donna, fino all’ultimo respiro, vissuta 100 anni tondi.
La più completa mai vista sul palco teatrale, da mattatrice e regista (anche per la lirica) e da protagonista dietro la macchina da presa. È andata in scena fino a pochissimo tempo fa e a chi le chiedeva quale fosse l’elisir di lunga vita, con il timbro snob–cecionesco (vedi la figlia della sora Augusta, quella maritata Cecioni) rispondeva sorridendo: «Mangio cioccolato tutti i giorni, mi aiuta con la serotonina». Sempre per Dino Risi e a fianco a Sordi interpretò l’esilarante sognatrice Cesira ne Il segno di Venere. «Signorina, cosa prende? Io ci dico una menta, perché, sa, la prontezza nell’ordinazione fa la signora», dice la Cesira che danza con il solito svogliato e marpionesco Albertone. «Che bei film con Alberto… Ne abbiamo fatti sette insieme se non sbaglio… Sì, sette magnifici film con il mio “Cretinetti”. Ah, quell’espressione lì, buffa no? Mi venne spontanea – raccontava divertita nel nostro ultimo incontro: la Franca seduta nel suo salotto con in braccio il fido Roro, l’ultimo della lunga dinastia dei suoi cani – e piacque tanto anche a Dino Risi, così rimase in copione.
Con Alberto eravamo una coppia che stava bene insieme, ma dopo l’ultimo ciak non ci si vedeva fino al giorno delle nuove riprese… Perché Sordi era un orso, non era mica quello che avete conosciuto sul grande schermo: aveva tre amici in croce e le sue amate sorelle. Però Alberto rappresenta la sintesi perfetta del comico: grande bravura scenica e intelligenza finissima. Sa, noi comici siamo più intelligenti rispetto agli altri attori. E comunque io sono convinta di una cosa: il talento è timido». Il talento non si ostenta, anche se si è stati Franca Valeri. «Non mi sono mai sentita un genio, né mi sono montata la testa quando ho ottenuto la stima e l’amicizia incondizionata di geni autentici, come Roberto Rossellini o il mio amico Luchino Visconti o quando a Roma vennero a cercarmi Stanlio e Ollio per conoscermi o a Parigi quando Edith Piaf mi chiese di scriverle una canzone».
Parigi o cara, per la giovane Franca che, con la Compagnia dei Gobbi (il suo primo marito, Vittorio Caprioli, e Alberto Bonucci), diede il via a una carriera secolare che poteva non iniziare a causa delle leggi razziali del ‘38 e l’appartenenza a una famiglia ebraica da parte di padre. I mesi di “clandestinità” nell’appartamento milanese di via Rovello sono dolorosamente rimasti impressi nella memoria della “salvata”. «Come ho fatto a salvarmi in quei giorni di prigionia forzata? Leggendo tanto, principalmente il mio amato Proust. Papà aveva studiato a Parigi, alla Sorbona, e così disponevo di una ricchissima biblioteca di libri francesi. La lingua la imparai dalle sorelle Dreyfus, le nipoti del famoso “Caso”. E poi appresi anche l’inglese: alcune frasi sbilenche sono finite anche nel parlato della Signorina Snob».
Quel giorno del nostro incontro, era luglio di un anno fa, Franca prima di riavvolgere il nastro dei ricordi di guerra disse commossa: «Quanti cari amici ebrei e antifascisti ha perso la mia famiglia… Li fecero salire su quel vagone chiodato partito dal Binario 21 della Stazione Centrale e non sono più tornati. È un dolore che mi porto ancora dentro, assieme al ricordo di tutte quelle brave persone che hanno aiutato la mia famiglia a salvarsi. Alla sera, con mia madre (cattolica) ascoltavo Radio Londra e continuavo a ripetere a tutti: state tranquilli, questi mostri ridicoli presto ci lasceranno in pace». La certezza dell’eterna ragazza, per niente snob – specie quando si confrontava con i giovani –, che ha affrontato la vita con tutta l’ironia possibile, come recita il titolo di uno dei suoi libri, Bugiarda no. Reticente.
La prima comica a “sfidare” la comicità maschile del reuccio Sordi e poi complice del Principe e vero sovrano della risata, Totò. «Con lui ho girato Totò a colori e Gli onorevoli. Ma eravamo distanziatissimi nel film, non ci si incontrava mai. Poi l’ho conosciuto in privato e ho scoperto un gran signore, geniale ed estremamente generoso. Totò era un vero Principe». Franca Valeri modello perenne per tutte le aspiranti attrici comiche, anche se confessava: «Qualcuna preferirei che non si rifacesse a me. Ho amato tanto Anna Marchesini, meravigliosa. Luciana Littizzetto? Ci siamo conosciute e insieme abbiamo scritto un libriccino, L’educazione delle fanciulle (Einaudi). Luciana è simpatica ma molto diversa da me, ha puntato troppo su un mondo che io detesto… quello della politica. Quello non è uno scenario che può ispirare una vera donna di teatro».
La Franca nazionale regista d’opera lirica che prima però ha costruito un teatro a sua immagine e somiglianza, tenendo sempre a mente le lezione di Ettore Petrolini. «Grazie ai dischi che mi regalava mio padre, ero uno scricciolo di bambina eppure già conoscevo tutte le sue battute e le canzoni (Gastone o Fortunello) a memoria. Una sera alla fine dello spettacolo qualcuno gli ha detto che avevo tutti i suoi dischi, allora lui mi ha preso in braccio e mi ha stretto forte forte a sé... Una stretta così calda, quella di Petrolini, che me la ricordo come se fosse adesso. Per me conoscerlo era stata già una grande emozione. Sa, allora c’era il mito di chi andava in scena. Penso alla magia e alla capacità di rendere tutti attori che possedeva Vittorio De Sica o al carisma teatrale di Eduardo De Filippo che anche se recitava sottovoce riusciva a farsi sentire perfino dallo spettatore seduto in ultima fila. Credo che oggi stia svanendo anche quell’aura dell’attore, non è più una figura mitica come lo è stata almeno fino alla guerra. La guerra purtroppo ha spazzato via tante cose meravigliose...».
Siamo partiti da Franca e Alberto e dalla commedia all’italiana che non esiste più «per un motivo semplice – spiegava la Valeri –: quel cinema era emanazione del teatro, oggi non più. Ormai la televisione ha rotto gli argini e i giovani pensano che dopo un minimo di visibilità si possono sentire già arrivati. Ma è una grande illusione, soltanto dei fantasmi». È stata una creatura fantasmagorica la Valeri, un grande fumetto femminile capace di trasmettere tutti i sentimenti, tutte le gioie e le amarezze di una donna, nata e cresciuta in questo Paese negli ultimi cento anni. Ha amato tutta l’arte varia dello spettacolo ed è stata riamata dal pubblico che le ha dato gioia e soddisfazione, anche se la vera felicità l’ha provata una volta sola: «Quel 25 aprile 1945 quando vidi le camionette dei tedeschi che sfilavano dalla zona della Fiera e lasciavano Milano. Ecco, quello è stato il giorno più felice della mia vita, la fine della stupidità del male…».