«Fa parte dell’autentica natura dell’Islam prendere l’iniziativa per liberare gli essere umani di tutta la Terra dalla servitù nei confronti di qualcun altro che non sia Dio» (Sayyid Qutb). Sono le parole che Massimo Campanini pone in epigrafe al suo ultimo lavoro,
L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo (Bruno Mondadori, pagine 168, euro 18,00) che arriva oggi in libreria. Apprezzato orientalista, docente universitario, autore di numerosi libri su filosofia e cultura politica islamica, in questo libro Campanini si esercita in un gioco di specchi affascinante, utilizzando concetti tipicamente occidentali per analizzare «l’alternativa islamica». Hasan Hanafi, filosofo egiziano tra i più importanti intellettuali arabo-musulmani del Novecento, ha sostenuto che l’islam politico è l’unica ideologia che non si è arresa alla visione del mondo imposta dall’Occidente. È un’alternativa, appunto, e proprio per questo si è salvata dall’estinzione. Tuttavia, da ultimo è accaduto che «la fenomenologia dell’islam terroristico – come spiega Campanini – ha prevaricato e cancellato la fenomenologia dell’islam rivoluzionario, ostacolando il pieno dispiegamento della soggettività islamica». Al-Qaeda ha gettato un’ombra sinistra su ogni possibile progettualità politica d’ispirazione islamica, lasciando supporre che l’islamismo radicale sia indissociabile dalla violenza cieca e ottusa. Ma la realtà è sempre pronta a smentire ogni previsione: la “Primavera araba” è un primo (per ora timido) segnale che sembra muovere in direzione opposta, verso quell’alternativa islamica di cui Campanini parla nel suo libro.
Lei imposta il suo lavoro sulla nozione di “potere costituente”, che è un precipitato della Rivoluzione francese: potrebbe sembrare arbitrario…«Capisco l’obiezione, ma sono di diverso parere. Penso che non sia metodologicamente scorretto fare ricorso a categorie interpretative tratte da una diversa realtà culturale: a ben vedere, lo faceva anche Averroè, applicando concetti della filosofia greca all’islam. L’importante è il risultato che si ottiene: l’operazione deve essere utile a chiarire ciò di cui si parla. Il concetto di “potere costituente” mette bene in luce l’attitudine “rivoluzionaria” dell’islam politico. Dico rivoluzionaria in senso proprio, senza che sia necessariamente implicata la violenza: come un processo di mutamento e trasformazione del dato politico, per realizzare ordini nuovi».
Il mondo musulmano si divide in sunniti e sciiti: quali sono le principali differenze teologiche e politiche? «I sunniti attribuiscono al clero, e in particolare agli
imam, un ruolo soltanto esecutivo, mentre gli sciiti trovano in loro una guida. È diverso anche l’approccio ai testi sacri: i sunniti si attengono alla lettera, mentre gli sciiti vi cercano significati esoterici, rispetto ai quali risulta di nuovo imprescindibile il compito del clero. Tuttavia, si deve precisare che prima della rivoluzione khomeinista avvenuta in Iran nel 1979, lo sciismo, diversamente dal sunnismo, ha avuto sempre una propensione quietista, lontana dalle fonti del potere».
È questo l’evento che sta all’origine dell’Islamismo politico dell’epoca contemporanea?«No, direi che dobbiamo retrodatarlo almeno agli anni venti del Novecento, quando in Egitto nascono i “Fratelli musulmani”, di confessione sunnita. La loro cultura politica si compone di tre elementi fondamentali: l’idea che almeno una volta ogni secolo Dio mandi sulla terra un rinnovatore della religione, che offra ai fedeli nuove dottrine spirituali, ma anche strutture e schemi inediti per la politica e il potere. In questa chiave, nei Fratelli musulmani si saldava, da un lato, l’obiettivo ultimo del rinnovamento del Califfato in una prospettiva universalistica e, dall’altro, quello immediato dell’opposizione al potere coloniale dei britannici, secondo delle logiche tipicamente nazionalistiche. Su questo terreno i Fratelli finivano per entrare in sintonia con gli “ufficiali liberi” di Nasser, consapevole quest’ultimo del loro radicamento sociale e del seguito che avevano nelle masse: per la stessa ragione per cui li considerava importanti in funzione anti-britannica, li temeva e li perseguitò con ferocia una volta giunto al potere».
Non pochi pensatori moderni hanno sostenuto che la democrazia sia soltanto laica: qual è la sua opinione?«Non penso che alla democrazia sia salutare un laicismo alla francese: mi sembra che la storia americana lo dimostri molto bene (non a caso, era un punto ben chiaro a Tocqueville). Credo però che il terrorismo di questi anni, totalmente votato alla lotta armata senza un vero progetto politico, abbia screditato e indebolito il “potere costituente” dell’islam, lasciando uno scenario su cui è molto difficile tornare ad agire in modo costruttivo. Al-Qaeda è uscita completamente dalla tradizione rivoluzionaria dell’alternativa islamica di cui parlo nel libro, che è radicale negli obiettivi ma non violenta. Seguo con interesse le vicende del partito sciita del Libano meridionale, Hezbollah, fondato nel 1982, che ha già dato origine a un suo omologo palestinese, Hamas. In merito alla “Primavera araba” non saprei fare previsioni sugli sviluppi futuri: si deve sottolineare però che quest’ultima è stata sufficiente a dare centralità ai partiti musulmani in Marocco, Tunisia ed Egitto, di fatto raccogliendo l’eredità politica dei Fratelli musulmani, che rappresentano il capostipite dell’alternativa islamica sunnita. È un’eccellente occasione per dimostrare le loro capacità politiche: è possibile una democrazia islamica? Spetta a loro la risposta».