I quattro calchi della Casa del Bracciale d'Oro - Parco Archeologico di Pompei
L’analisi del Dna antico ha riscritto le interpretazioni che archeologi e ricercatori avevano elaborato per raccontare le vittime di Pompei. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Current Biology”, ha preso in esame le informazioni genetiche estratte da 14 degli 86 calchi in fase di restauro. In base alla posizione in cui erano stati trovati durante gli scavi e all’aspetto fisico, in passato gli esperti avevano ipotizzato, per esempio, che la coppia di individui morti mentre si abbracciavano fossero sorelle, madre e figlia o due innamorati. Oppure, che le quattro persone scoperte nella Casa del Bracciale d’Oro fossero una famiglia composta dai genitori e dai due figli. La nuova ricerca è stata condotta dall’Università di Firenze, da quella di Harvard e dal Max Planck Institute di Lipsia.
I calchi dei corpi sono stati realizzati colando acqua e gesso nei vuoti che si crearono nello strato di lapilli e cenere a causa della decomposizione delle sostanze organiche. Solidificandosi, il gesso ha riprodotto la posizione e la forma dei corpi, in alcuni casi inglobando anche frammenti ossei e oggetti di metallo rimasti intatti. È accaduto nei 14 calchi esaminati, cinque dei quali hanno fornito importanti informazioni genetiche.
Dall’analisi del Dna è emerso che, dei due individui abbracciati nella Casa del Criptoportico, uno è sicuramente maschio e che non sono parenti. Rimane quindi valida soltanto l’ipotesi degli innamorati. Di quella tradizionalmente interpretata come una famiglia, si pensava che la persona adulta con il bracciale d’oro potesse essere la madre e il bambino seduto in braccio a lei il figlio. Secondo i risultati, invece, si tratta di un uomo con capelli neri e pelle scura che non ha legami biologici con i bambini, entrambi maschi. Non tutte le interpretazioni tradizionali, però, sono state ribaltate: è stato confermato, per esempio, che una vittima trovata da sola in un edificio noto come Villa dei Misteri è un maschio, probabilmente un abitante di Pompei.
I calchi abbracciati della Casa del Criptoportico - Parco Archeologico di Pompei
«Questo studio – afferma David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze – dimostra quanto l’analisi genetica possa arricchire notevolmente narrazioni elaborate sulla base di dati archeologici. Queste scoperte sfidano interpretazioni di lunga data, come l’associazione dei gioielli alla femminilità o l’interpretazione della vicinanza fisica come indicatore di relazioni biologiche». Oltre alle convenzioni sociali moderne e ai luoghi comuni, anche l’utilizzo dei calchi nella ricostruzione della storia di Pompei e delle sue vittime potrebbe aver portato «alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato».
Lo studio, però, non si limita a chiarire le relazioni familiari degli individui uccisi nel 79 d.C. dall’eruzione del Vesuvio. Dai risultati emerge anche un quadro sulla mobilità e sull’ascendenza dei popoli del Mediterraneo durante l’epoca romana: «Gli abitanti di Pompei non erano romani della città di Roma», sottolinea Phil Perkins, docente di Archeologia alla Open University. A suggerirlo sono i dati genetici, secondo i quali i pompeiani discendevano principalmente da immigrati originari del Mediterraneo orientale. A confermare la natura cosmopolita della città è anche l’uomo con la pelle scura della Casa del Bracciale d’Oro, che potrebbe essere «una persona schiavizzata proveniente dall'Africa», afferma Andrew Wallace-Hadrill, docente dell’Università di Cambridge.