sabato 21 settembre 2024
Il numero uno del Circus: «Vogliamo dare un'occasione di sviluppo all'unico continente in cui non corriamo, per farlo crescere attraverso uno sport che fa girare numeri importanti»
Stefano Domenicali, presidente e amministratore delegato di Formula One Group, la società che si occupa di organizzare il circuito della Formula 1

Stefano Domenicali, presidente e amministratore delegato di Formula One Group, la società che si occupa di organizzare il circuito della Formula 1 - Fotogramma

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La sua è una storia che parte da lontano, da quando Stefano Domenicali (presidente e amministratore delegato di Formula One Group, la società che si occupa di organizzare il circuito della Formula 1), ragazzino con i pantaloni corti, esce da scuola, scavalca il fossato, e si presenta in autodromo a Imola dove comincia a darsi da fare aiutando commissari, servizio antiincendio, portando i cestini del pasto. Sono passati i decenni, ma quella passione per i motori non è ancora passata, anzi è diventata un lavoro… «È stato un privilegio – ci dice seduto nel suo ufficio nella direzione gara del circuito di Singapore – perché è stata una passione che ti circonda e ti coinvolge a tutto tondo. Sono contento e felice di questo perché lo sento come una responsabilità maggiore nelle funzioni che devo esercitare». Una passione che si è sviluppata in un liceo di Imola, dove altre figure di spicco del mondo italiano e non solo, si sono affermate.
Cosa aveva di così speciale quella scuola?
«Guarda, il liceo scientifico Valeriali di Imola è ancora sulle rive del Santerno, dalla parte opposta a dove c’è il paddock del circuito di F.1, è la scuola dove sono cresciuto e ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare ancora un gruppo di ragazzi e ragazze cui sono ancora molto legato. Non è un caso che, una volta all’anno, ci ritroviamo tutti per una cena e nell’edizione di quest’anno abbiamo pure stampato qualcosa a ricordare i 40 anni della 5B… La famosa quinta B del Liceo Valeriali. Ho avuto la fortuna di crescere con un gruppo variegato di persone, con idee diverse e da giovani discutevamo di tutto, dalla politica, allo sport ai temi sociali. Sono stato circondato da persone speciali ed eccezionali dove ognuno ha seguito il proprio percorso, professionale, umano, spirituale, ma siamo ancora tutti molto legati. Ci sono persone che stanno lasciando il segno nella realtà dove sono nato e questo per me è stata fortuna».
La scuola come elemento di formazione continua ad essere quindi basilare, ma l’altro insegnamento che emerge è che poi, alla fine, uno deve seguire la propria passione…
«Sicuro, il primo nucleo è la famiglia, il secondo è senza dubbio la scuola. Ai miei tempi c’era anche un altro elemento importante: prima di andare al liceo, io frequentavo l’oratorio dei frati cappuccini vicino a casa mia. E’ una parte importante perché lì si completava quello che non si riusciva a finire a scuola. E poi c’era la parte sportiva, in quegli anni giocano a pallacanestro a Imola. La passione è qualcosa che ti tiene vivo specialmente nei momenti di difficoltà o quando credi che le cose non siano raggiungibili. Io vengo da una famiglia straordinaria, ma normalissima. Se sono riuscito a raggiungere una posizione che in molti ritengono importante, io dico sempre se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti. Basta avere determinazione, trovarsi anche al momento giusto al posto giusto. Mai mollare, è l’insegnamento che porto a casa e che trasmetto ai miei figli ogni giorno».
Argomento famiglia: lei è sposato con Silvia Colombo, figlia del noto fotografo Ercole, quanto ha aiutato avere al fianco una persona che conosceva le difficoltà di un mondo difficile come quello delle corse di F.1, vivere i propri figli, che studiano all’università: come si riesce ad amalgamare tutto senza perdere niente?
«Innanzitutto in una famiglia bisogna fare delle scelte e Silvia ha fatto una scelta dedicandosi alla famiglia, altrimenti non sarebbe stato possibile fare quello che ho fatto. Per questo le sarò per sempre grato, la qualità e quantità del rapporto è stata cruciale, senza dubbio. Dall’altro lato ho cercato di non far mai mancare la mia presenza anche se ero dall’altra parte del mondo, e qui parlo di qualità del rapporto, per me fondamentale. La chiamata e i momenti in cui si poteva stare insieme sono stati importanti per conservare la qualità necessaria per una famiglia unita».
C’è però l’aspetto umiltà, perché tutti riconoscono il suo rapporto umano, il suo non essere mai sopra le righe o altezzoso verso gli altri, dal commissario di pista al semplice appassionato…
«Io sono cresciuto così grazie ai miei genitori e che trasmetto ai miei figli, è un valore che mi porto dietro perché non c’è bisogno di montarsi la testa, si deve essere se stessi. In un mondo dove ci sono tante difficoltà, tensioni, un saluto fra persone che non si conoscono ma appartengono a sfere diverse, credo sia importante per dare un senso di comunità in un momento dove invece di trovare punti di contatto, si fomentano punti di divisione».
La F.1 è uno sport a livello mondiale, si parla di un GP in Ruanda: perché andare in posti simili con uno sport definito da ricchi?
«Per creare opportunità, creare lavoro. Noi siamo un campionato mondiale, l’unico continente in cui non corriamo è l’Africa, un continente che ha delle tensioni, delle situazioni sociali e difficoltà diverse rispetto ad altre parti del mondo. Voler andare lì non è legato al fatto di massimizzare quello che potremmo guadagnare di più in un altro posto. Vogliamo dare una centralità e una occasione a un paese che attraverso la F.1 può diventare il collettore di tanti interessi in un territorio e in uno stato più povero degli altri. E’ l’occasione per far crescere un territorio attraverso uno sport che fa girare numeri importanti come prodotto interno lordo e posti di lavoro, si parla di un progetto che parte da una carta bianca. Si parla di circuito, hotel. La prima volta che sono stato in Ruanda sono rimasto molto colpito dal mausoleo del genocidio. Una cosa che non può lasciare indifferenti. Spero si possa concretizzare il progetto».
11 maggio 2025, Stefano Domenicali compie 60 anni, c’è gente che non vede l’ora di andare in pensione, cosa farà invece lei?
«Ho troppa energia dentro da poter andare in pensione. In futuro spero trovare un po’ di tempo per me stesso, perché con questo lavoro di tempo non ce ne è. Ho energia e a 60 anni in pensione non mi ci vedo proprio. Essendo stato molto fortunato nella mia vita, vorrei dare indietro qualcosa dedicata ad altri per ripagare quanto ho ottenuto io».
Autodromi con record di pubblico, successo planetario, eppure sono arrivate le critiche: deluso?
«Quando vuoi fare un cambiamento radicale, devi forzare un sistema fatto di abitudini radicate che ti impediscono di progredire. Mi aspettavo le critiche che, se costruttive, servono per crescere, ma sapevo che saremmo andati incontro a questo. Oggi i risultati dicono che avevamo avuto una visione esatta della F.1, ma non sono sereno per il futuro, perché ci sono dei cicli: le cose andranno bene e andranno male, alti e bassi, non vado in crisi per le critiche, ma sono pronto ad affrontare gli alti e bassi».
Parlano tutti bene di lei, ma un difetto esiste?
«Sono trasparente, quello che si vede è quello che sono. A volte non è facile da gestire. Se vivi con la maschera, prima o dopo cade e si scopre la verità. Non ho esigenza di farlo».
Come definirebbe Stefano Domenicali?
«Una persona per bene».

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