Un momento di confronto alla Pontificia Accademia per la Vita - archivio
Se la Chiesa è il luogo dell’ascolto, del confronto e del discernimento che riguarda l’intelligenza teologica della fede, allora lo spazio seminariale allestito dalla Pontificia Accademia per la Vita sul tema Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche (Lev, pagine 528, euro 30,00), testo che raccoglie gli Atti di un seminario a cui hanno partecipato un gruppo internazionale di teologi oltre a vari esperti di scienze umanistiche, è la giusta formula istituzionale di questo esercizio, almeno per due ordini di ragioni. Da un lato, perché il fatto che una Pontificia Accademia si proponga come soggetto istituzionale interessato a ospitare, al suo interno, un dibattito teologico-morale di ampio respiro è un tratto di apprezzabile onestà intellettuale che fa onore alla Chiesa medesima. Le questioni in sospeso e le nuove problematiche vanno affrontate, non nascoste sotto il tappeto. Dall’altro lato, perché una mossa di questo genere visualizza e promuove una delle dimensioni più preziose della sinodalità ecclesiale: ossia l’ascolto e il dialogo reciproco del magistero autorevole e della teologia professionale. L’interesse di questa abituale frequentazione – e magari ritornasse a essere abituale e normale – è rigorosamente comune, infatti, e in alcun modo autoreferenziale. Si tratta dell’amore dei discepoli di Gesù per la Chiesa, e della Chiesa per gli uomini e le donne del proprio tempo. Non temi di complemento, insomma: che in nessun modo dovrebbero essere appannaggio di lobbies autonominate e di pretoriani della corona. Mi interessa sottolineare questo aspetto di modello e di stile, che caratterizza l’ospitale iniziativa della Pontificia Accademia e la cordiale disponibilità dei teologi partecipanti. L’idea che si possa praticare la serenità e la serietà della dialettica delle argomentazioni alla ricerca dell’interpretazione migliore che può – o addirittura deve – orientare il pensiero e la prassi della fede, appare, in certi momenti di questi anni convulsi, così debole e così maltrattata, da farti sentire fuori luogo e fuori dal tempo, se cerchi di metterla in pratica. Questa idea della Pontificia Accademica, che si possa fare proprio nella Chiesa, e che si possa fare confrontandosi generosamente con questo tempo in cui il Signore ha affidato proprio a noi la responsabilità di comprendere e di far comprendere i modi in cui la luce del Vangelo si riflette sulla condizione umana, quasi commuove. Ciascuno, poi, secondo il ministero e il carisma ricevuto, farà la sua parte. Il magistero autorevole, secondo il carisma ricevuto dal Signore, conferma la coerenza della fede: ma non lo fa mai – è il cristianesimo, questo – nel vuoto del pensiero e nel surrealismo delle pratiche. La teologia pensante, a sua volta, svolge un compito di chiarificazione che rende la coerenza della fede realmente intelligibile: proprio per questo, non si immagina neppure come un percorso alternativo all’esercizio del magistero autorevole. Non è una cooperazione che debbe essere fissata una volta per tutte, in un Concilio, poniamo, e poi archiviata in attesa di qualche emergenza. Questa è la novità che questa iniziativa fa accadere come un evento e rende immaginabile come un modello: la pura e semplice normalità di questo tipo di frequentazione, di disponibilità, di servizio. Nel rispetto, offerto e ricambiato, di un ruolo che esclude ogni pretesa di “surrettizia” sostituzione o di pressione come “dall’esterno”. I temi sui quali si dipana l’esercizio di questa dialettica e il servizio di questo discernimento sono molti,delicati, importanti e complessi. Gli esperti li commenteranno e li illustreranno debitamente. Vorrei solo richiamare l’attenzione sull’aura e sul respiro della loro esposizione, che rappresenta certamente un’ulteriore buona notizia per i credenti (ma anche per tutti). Nel testo-base, che fornisce l’enciclopedia dei temi e l’impianto della discussione, i temi della cosiddetta “bioetica” (e “biopolitica”) sono collocati nell’orizzonte non riduttivo e appassionante di una poesia della vita – della sua nascita e della sua energia, delle sue ferite e del suo congedo, della sua indistruttibile radice nella generazione del Figlio di Dio e della sua sorprendente destinazione al nuovo mondo di Dio – che li restituisce alla loro intonazione di fondo: vale a dire, le passioni dell’amore per la vita e non l’ossessione per le prestazioni della tecnica. Il quadro giusto per l’irradiazione etica della forma cristiana è questo. Il magistero del papa Francesco sollecita in ogni modo il ritorno di questo orizzonte come chiave di accesso alla visione evangelica di ogni vita e di ogni destino. L’abitudine a continuare il confronto, in questo spirito, sarebbe una pura gioia della vita (e della fede).